Giorno dopo giorno i casi aumentavano, e così vennero adottate in Oriente nuove misure per limitare i contagi, tra cui la costruzione di un nuovo ospedale in un tempo record, la limitazione degli spostamenti e la chiusura delle scuole.
Un problema però che a tutto il resto del mondo, compresi noi italiani, sembrava non interessare. Tuttavia, gli italiani, gli europei e ancora i restanti cittadini del mondo non avevano tenuto conto della cosiddetta globalizzazione, fenomeno caratteristico dell’età moderna, che portava allo spostamento di miliardi di persone per viaggi di lavoro o semplicemente di svago. Così, come una macchia d’olio, nel giro di poche settimane il virus si spostò velocemente anche verso l’Europa, e anche lì iniziarono i primi contagi.
Nonostante il problema riguardasse anche la nostra penisola, fu comunque sottovalutato. I casi si potevano contare sulle dita delle mani, sembravano circostanziati, isolati e lontani e sembravano riguardare solo gli anziani, con patologie pregresse. Ma nei giorni seguenti, i casi di positività ai test aumentarono fino a moltiplicarsi; sia che fossero sintomatici o meno, si diffondevano in tutta la nostra penisola, soprattutto al nord.
“Il virus può essere accomunato a una semplice influenza... la mortalità, anzi, è inferiore a quest’ultima”, queste erano le parole rassicuranti degli studiosi e dei medici contro l’allarmismo diffuso della gente, contro le corse ai supermercati nel timore di finire le proprie riserve in casa e non potersi più approvvigionare, contro i primi atti di razzismo che vedevano coinvolti i cinesi che erano diventati il capro espiatorio della situazione.
Passavano i giorni, tra l’inconsapevolezza di alcuni e il troppo allarmismo di altri, ma alle orecchie di tutti una parola diventava sempre più frequente: “positivo”.
Nonostante l’aumento delle misure cautelari ed i nuovi provvedimenti emanati dal Governo per evitare l’eccessiva concentrazione e corsa delle persone negli ospedali, gli infetti continuavano ad aumentare, i numeri erano sempre più alti.
L’effetto sul Paese fu drastico, si cominciò a parlare di possibile crollo del sistema sanitario per insufficienza di posti, materiale e personale volto ad adottare le migliori cure che potessero portare alla guarigione.
Si temeva il crollo dell’economia: gli alberghi rischiavano la chiusura per le manovre politiche che invitavano la gente a spostarsi il meno possibile per non essere contagiati, i ristoranti subivano limitazioni negli orari ed erano costretti a misure restrittive imposte dal Governo stesso. Turismo ed export erano in ginocchio mentre fino a qualche mese prima rappresentavano la principale fonte di reddito italiana.
Gli effetti drammatici aumentavano, mentre le misure preventive non risultano altrettanto valide; i medici non riuscivano a trovare una cura e i commercianti non avevano abbastanza sostegno per portare avanti le loro attività.
La nostra regione, da un punto di vista governativo, fu da subito molto attenta al problema, chiudendo in modo preventivo le scuole, sensibilizzando la popolazione e invitando tutti ad avere particolare cura della propria igiene.
Nella nostra regione ed in particolare a Genova si riuscì a contenere i casi ma nessuno poteva dire quanto e fino a quando. Eravamo tutti in pericolo. chi sembrava prendesse meno seriamente la situazione erano i più giovani. Molte, forse troppe, persone sfruttando le belle giornate, liberi da impegni didattici e, alcuni, lavorativi, approfittavano per godersi il mare, popolando così piccoli borghetti quali Boccadasse, non avendo dunque abbastanza chiara la gravità della situazione e aumentando così, inevitabilmente, la probabilità di ulteriori contagi.
Cosa ne sarà dell’Italia? Cosa ne sarà dell’economia italiana e mondiale? Quante persone supereranno il male che in breve tempo si è trasformato da epidemia a pandemia? Quando inizieranno a diminuire i contagi e soprattutto come riusciranno essi a diminuire? Queste le principali domande a cui nessuno sa dare una risposta, se non il tempo.
Andrea Ciani, V D TUR
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