Il 6
novembre ci siamo recati al Teatro Della Tosse per assistere allo spettacolo
teatrale di Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari,
intitolato “Amleto take away” dove, oltre a
rappresentare la famosissima tragedia shakespeariana, l’attore ha introdotto un
racconto su un periodo particolare della sua vita.
Gianfranco
Berardi è un attore cieco dall’età di 18 anni a causa dii una malattia
degenerativa diagnosticatagli da un ospedale altamente
specialistico, dopo una visita a seguito della quale avrebbe dovuto
pagare ben venti milioni delle vecchie lire, qualora la diagnosi fosse stata
differente dalla temutissima perdita di vista progressiva.
Di quella
triste circostanza Gianfranco ha raccontato i particolari commoventi, soffermandosi sulla tenerezza del padre e sulle
lacrime di un uomo sconfitto da una notizia contro la quale niente e nessuno
poteva più fare nulla, nemmeno la sua – fino ad allora – grande forza di “capo
famiglia” .
Niente e
nessuno tranne Gianfranco, che da quel giorno decise di reinventarsi la vita,
traendo da uno svantaggio l’unico vantaggio possibile : vedere oltre. Smise di
apparire di fronte a tutti e iniziò a concentrarsi su ciò che era realmente
dentro se stesso. Per questo iniziò ad interessarsi al teatro e scelse di
seguire una compagnia che poco dopo si
sciolse per proseguire con quella dove attualmente recita, portando la sua
esperienza sotto forma di rappresentazioni teatrali e cercando di far riflettere
chi prova ad ascoltarlo.
Gianfranco
sottolinea come oggi prevalga l’apparire in tutto ciò che ci circonda, come la
gente sia manipolata dai social e dalle regole di alterazione del proprio
essere che il network impone.
Tutto
quanto ruota intorno all’immagine e quanto più essa è modificata, tanto più si
è soddisfatti di quello che mostriamo, pur non essendo realmente noi.
L’ironia
con cui Gianfranco affronta questa tematica e ci invita a riflettere è
racchiusa nel suo “to be or not to fb”,
che va a modificare l’essere o non essere shakespeariano ed esaspera il
protagonismo dei social nella nostra vita quotidiana. Amleto è per Gianfranco
l’esempio più significativo di come la vita
possa diventare un continuo dubbio su ciò che sia giusto o sbagliato, su ciò che sia reale o semplicemente appaia.
Cercato dal
padre, che si manifesta come spettro, affinché lo vendicasse dallo zio
usurpatore del regno e della moglie Gertrude, il
giovane principe Amleto sarà combattuto fino al termine della tragedia tra il
sentimento di vendetta, il desiderio di suicidio ed una follia che a tratti
fingerà per apparire diversamente agli occhi di chi teme gli stia mentendo. La
vendetta del padre si consumerà solo
alla fine, ma sarà il risultato di tante altre
morti e tanto altro dolore a significare che – come Amleto stesso reciterà nel
monologo – la morte non naturale non porta ad un dolce sonno, ma solo a tormenti.
E forse
Gianfranco proprio questo ha voluto trasmetterci raccontandoci la sua triste storia. Se si
fosse fermato a ciò che la vita gli stava togliendo, non avrebbe mai scoperto
l’arte che aveva dentro, non avrebbe mai parlato ai giovani come noi, invitandoci a riflettere quanto sbagli la nuova
generazione alterando la propria immagine ed il proprio essere in funzione dei
social e quanto sbagli anche la vecchia generazione quando rifiuta il
cambiamento ed interviene sui segni che il tempo evidenzia.
Ho
apprezzato moltissimo i due attori a teatro, ognuno dei due per motivi diversi.
A Gianfranco riconosco il merito di aver saputo cogliere da un episodio così
negativo un vantaggio per sé e
per la propria vita, che gli porta guadagno e che lo fa star bene con se
stesso; di Gabriella apprezzo il suo saper rimanere a fianco a chi
non può guardare ciò che fai, ma questo vuol dire che anche lei ha trovato un
modo per star bene con se stessa, perché ha scelto per
sé e non per gli altri. E sui social concordo con
Gianfranco, ma guardare oltre è un “dono” di pochi… e nessuno vuole smettere di
“vedere”.
Andrea Ciani, IV D tur
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