giovedì 19 febbraio 2015

Un romanzo a puntate - IL FU MATTIA PASCAL Capitoli IX e X


IL FU MATTIA PASCAL

Capitolo IX UN PO’ DI NEBBIA
Il primo inverno è trascorso; inizia il secondo e la magia legata alla ritrovata libertà inizia ad appannarsi. Mattia comincia a pensare di trovarsi una fissa dimora ed invidia le persone normali  che non conoscono quel senso di penosa precarietà che ormai caratterizza la sua vita.
Mattia si deve privare anche degli oggetti, gli oggetti che si caricano di significati particolari per il loro proprietario, che suscitano emozioni e ricordi. Mattia non può possedere nulla, costretto come è ad alloggiare in camere d’albergo, con la valigia  in mano.
Mattia immagina se stesso che torna a casa per Natale, con il panettone sotto il braccio. “Buongiorno, io sarei il defunto marito della signora Pascal,  vengo lesto lesto dall’altro mondo  per passare le feste in famiglia, con licenza dei superiori”
Mattia pensa: ”Ci sono altre persone sole al mondo”, ma  è anche vero che la condizione di queste persone sole può sempre cambiare mentre la sua no, è destinata a rimanere tale per sempre. Mattia sarà per sempre un forestiero della vita.
Mattia ha fatto amicizia con un signore, vicino di tavolo in trattoria, un certo Cavalier Tito Lenzi. Quando il cavaliere comincia a porre domande a Mattia sul suo passato, questi si sente a disagio, si ritrae. Al termine della  conversazione si rende conto inoltre che il nuovo amico mente e Mattia si sente avvilito: si chiede come mai l’uomo menta, se non è costretto a mentire. Mattia, da parte sua, obbligato ad una vita di finzione, si sente “torcere l’anima dentro“ mentre  è condannato a mentire.
Mattia si rende conto che non potrà mai avere un vero amico, ma solo relazioni superficiali, che dovrà vivere per sempre mascherato. La vita, osservata da spettatore esterno, gli sembra  senza scopo e senza senso.
Il frastuono, il fermento dellaa città in perenne movimento  lo stordiscono: ”Perché gli uomini si affannano a rendere più complicato il congegno della loro vita?? Perché tutto questo stordimento di macchine? Che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto?” Si accorgerà allora che il progresso non ha nulla a che fare con la felicità?”
Mattia  torna in albergo immerso nei suoi cupi pensieri  e si mette a parlare con un canarino in gabbia, illudendosi che questo gli risponda.
Mattia  è convinto che l’uomo pensi che la natura in qualche modo gli parli, comunichi, trasmetta messaggi . ma forse la natura  non ha la minima percezione di noi e della  nostra esistenza.
La conclusione di Mattia, al termine di queste amare riflessioni :”Io dovevo vivere, vivere, vivere…”

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Capitolo X 
ACQUASANTIERA E PORTACENERE
Mattia decide di stabilirsi a Roma: la città gli piace ed inoltre gli sembra la più adatta ad ospitare, tra tanti forestieri, un forestiero come lui.
Il ragazzo trova una stanza in affitto presso  una famiglia discreta, composta dal signor Paleari, la figlia Adriana, il cognato di Adriana Terenzio, al momento fuori città.
Adriana lo informa che in casa vive un’altra inquilina ,Silvia Caporale, un’insegnante di pianoforte sola, infelice, distrutta dall’alcool, arrabbiata con la vita: viene ospitata gratuitamente in casa poiché in passato ha affidato i suoi risparmi a Terenzio che li  ha investiti in un affare non andato bene.
Adriana è una donna minuta, timida, seria, che sembra portare sulle sue fragili spalle tutto il peso della gestione della famiglia. La sorella è morta sei mesi prima.
Il padre – nota Mattia – appare un tipo eccentrico, “ con il cervello di spuma”, dedito a strane letture  di teosofia , ossessionato dal pensiero della morte, interessato al paranormale : ha scoperto nell’inquilina Silvia straordinarie  facoltà medianiche.
Adriana è molto religiosa e soffre per le pratiche medianiche del padre.
Sopra il comodino nella camera di Mattia è appesa un’acquasantiera. Una notte Mattia la utilizza distrattamente come portacenere. Il giorno dopo l’acquasantiera non c’è più e sul comodino è appoggiato un portacenere.
Mattia si  rende conto di non essere più entrato in chiesa  per pregare e di non aver riflettuto a lungo sul pensiero della morte: ma l’ossessione di Paleari alla fine contagia anche lui.
Paleari parla sempre e solo di morte e riflette sul concetto di materia.
Se tutto è materia, esistono comunque diversi gradi di materia: “Nel mio stesso corpo c’è l’unghia, il dente… e c’è il finissimo tessuto oculare!”
La Natura ha faticato migliaia di secoli per far evolvere l’uomo  dallo stadio di verme a quello attuale, per arrivare a “questa bestia che ruba, questa bestia che uccide, questa bestia bugiarda che pure è capace di scrivere la DIVINA COMMEDIA… e tutt’a un tratto, paffete, torna zero? Diventerà verme il mio naso, il mio piede, non l’anima mia, perbacco!”
Paleari  osserva che deve pur esserci  un vita oltre la vita:”Se mi provano che, dopo aver faticosamente vissuto per anni, tutto finisce lì, ma io la mia vita la butto via oggi stesso!”
“Sarebbe la cosa più assurda e atroce se tutto dovesse consistere IN QUESTO MISERABILE SOFFIO CHE E’ LA NOSTRA VITA TERRENA: 50, 60 anni di noia, di miserie, di fatiche: perché?... Non possiamo comprendere la vita se non ci spieghiamo la morte.”
“Se manca la lampadina della fede  ci aggiriamo nella vita come ciechi.”
Paleari non si cura  di  indagare sulla vita di  Mattia. Solo una volte gli chiede perché si trovi a Roma.Non capisce perché il ragazzo abbia scelto una  città triste, morta, chiusa nel sogno del suo maestoso passato , indifferente  al formicolio che si agita intorno a lei. Roma giace con il suo “grande cuore frantumato”: i papi ne avevano fatto un’acquasantiera, gli Italiani l’hanno trasformata in un posacenere.

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