IL FU MATTIA PASCAL
Capitolo V LA MATURAZIONE
Romilda è gelosa del figlio che avrà Oliva, destinato ad una vita comoda e agiata mentre il suo vivrà per sempre nell'incertezza del domani. Quello che rimane delle proprietà di Mattia viene svenduto ed acquistato per “pochi baiocchi” da Malagna. Mattia deve trovare un’occupazione, pur essendo “inetto a tutto” e con una fama alle spalle di scioperato e fannullone, fama che gli rende difficile trovare un lavoro.
L’atmosfera in casa è tesa: la madre di Mattia è chiusa in se stessa, apatica, rassegnata, “non dà fastidio neanche all'aria. Mattia teme che possa essere maltrattata dalla suocera e da Romilda. Mattia preoccupato chiede al fratello Berto di ccogliere la madre a casa sua ma Berto sostiene di non avere la possibilità di ospitarla.
La tensione in famiglia cresce fino al giorno in cui scoppia un litigio particolarmente violento. Mattia interviene e getta a terra la suocera.
Due giorni dopo zia Scolastica porta via con sé la madre di Mattia, non prima di aver avuto un alterco con la vedova Pescatore. Dopo un ennesimo conflitto con la vedova Pescatore, durante il quale Mattia viene preso da un accesso di riso isterico (“ho riso di tutte le mie sciagure ed il mio tormento , mi vidi in quell'attimo attore di una tragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare… io che non avevo più pane per il giorno appresso…”), il ragazzo esce di casa e si imbatte in Pomino, che, commosso per la triste situazione in cui si trova Mattia, gli offre un posto di lavoro come bibliotecario; suo padre infatti, che è assessore comunale per la Pubblica Istruzione, gli ha detto che l’attuale bibliotecario non è più in grado di svolgere il proprio lavoro.
E così, 4 giorni dopo, Mattia diventa bibliotecario. Guadagna sessanta lire al mese.
Passa tutto il giorno con il vecchio bibliotecario Romitelli che ha affiancato, e non sa cosa fare. Vedendo grossi ratti che si nascondono tra i libri, ha un’idea. Scrive un’elaboratissima istanza all'assessore comunale all'istruzione perché gli invii due gatti che possano fare strage di topi. Dopo un certo tempo Mattia riceve due gattini magri e miseri che non si dimostrano all'altezza del loro compito. Protesta, e dopo un certo tempo vede arrivare “due bei gattoni lesti e serii” che, senza perder tempo, si mettono a fare il loro dovere.
Mattia avverte un cambiamento nel profondo della sua anima (non a caso il capitolo si intitola “Maturazione”). Morto Romitelli, si ritrova solo e “pur senza voglia di compagnia”: può trattenersi solo poche ore in biblioteca, impegnato nella caccia ai topi, non ha voglia di girare per il paese perché si vergogna dello stato di miseria, non vuole stare in famiglia.
Decide perciò di cominciare a leggere di tutto un po’, disordinatamente, ma soprattutto libri di filosofia: ”pesano tanto, eppure chi se ne ciba e se li mette in corpo, vive tra le nuvole”.
Quando è sazio di lettura, Mattia si reca in riva al mare: la vista delle onde lo fa cadere in uno “sgomento attonito”, in una “oppressione intollerabile”; siede sulla spiaggia, sente il fragore delle onde, mentre si lascia scivolare tra le dita la sabbia pesante e mormora :”Così, sempre, fino alla morte, senza alcun mutamento, mai…”. L’immobilità e l’inutilità della sua condizione di vita gli pesano come un macigno.
Un giorno gli portano la notizia che la moglie ha le doglie e corre trafelato a casa. Vengono alla luce due gemelle: ”si sgraffiavano tra di loro con quelle manine così gracili eppur quasi artigliate da un selvaggio istinto che incuteva ribrezzo e pietà: misere, misere, misere, più di quei due gattini che ritrovavo ogni mattina dentro le trappole; ed anch'esse non avevano la forza di vagire…”.
Ma Mattia sente anche per la prima volta un brivido nuovo, un senso di tenerezza ineffabile.
La prima nata muore pochi giorni dopo, la seconda muore all'età di un anno, quando Mattia ha ormai avuto tempo di affezionarsi alla piccola , di chiamarla per nome e di sentirsi chiamare papà.
Contemporaneamente, lo stesso giorno muore anche la mamma di Mattia: il ragazzo rimane come tramortito dal doppio lutto ed è sull'orlo della follia. Per una notte intera vaga per il paese e per le campagne. Viene confortato dal vecchio mugnaio.
Berto si fa vivo ed invia 500 lire per il funerale, che torneranno utili in seguito a Mattia e diventeranno “cagione della sua prima morte”
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Capitolo VI TAC,TAC,TAC…
Cambio di scena: il capitolo inizia con la descrizione delle evoluzioni
capricciose della pallina della roulette, dalle quali dipendono le
sorti di tanti giocatori.
Mattia è capitato a Montecarlo per caso. “Non sapendo più resistere alla noia, anzi allo schifo di vivere in quel modo, miserabile, senza speranza di miglioramento, senza compenso all'amarezza, allo squallore, all'orribile desolazione ero fuggito dal paese a piedi, con le 500 lire di Berto in tasca.”
Inizialmente Mattia pensa di andare a Marsiglia e da qui, con la nave, in America, ma scoraggiato ed avvilito anche per la scarsità di denaro, rinuncia. Sceso a Nizza, incerto sul da farsi, compera un opuscolo sulla roulette e va al casinò. Per parecchio tempo osserva i giocatori e respira l’atmosfera di grande tensione che caratterizza il gioco: ”si faceva silenzio, un silenzio strano, angoscioso, quasi vibrante di frenate violenze…”, tutti gli occhi si volgevano alla pallina con varia espressione: d’ansia, di sfida, d’angoscia, di terrore…”. Mattia comincia a giocare, viene preso dalla febbre del gioco e vive uno stato di lucida ebbrezza. C’è quasi una forza diabolica in lui che gli suggerisce i numeri e lo fa vincere in continuazione.
Dopo aver vinto una grossa somma, 11.000 lire, Mattia è incerto sul da farsi: tornare a casa da una moglie arida e rancorosa verso la quale non prova più alcun affetto o partire per l’America?
Nei 12 giorni seguenti torna al casinò e continua a giocare, vincendo fino al nono giorno, dopodiché la fortuna sembra abbandonarlo.
Il dodicesimo giorno Mattia viene informato che un giocatore che aveva conosciuto in precedenza, si è suicidato. Mattia lo vede disteso in mezzo al viale, con la rivoltella ancora in pugno. Prende un fazzoletto e gli copre il volto sfigurato, tra le proteste della gente alla quale viene tolto il meglio dello spettacolo.
Mattia decide di abbandonare il gioco e ritorna a Nizza con 82.000 lire.
Mattia è capitato a Montecarlo per caso. “Non sapendo più resistere alla noia, anzi allo schifo di vivere in quel modo, miserabile, senza speranza di miglioramento, senza compenso all'amarezza, allo squallore, all'orribile desolazione ero fuggito dal paese a piedi, con le 500 lire di Berto in tasca.”
Inizialmente Mattia pensa di andare a Marsiglia e da qui, con la nave, in America, ma scoraggiato ed avvilito anche per la scarsità di denaro, rinuncia. Sceso a Nizza, incerto sul da farsi, compera un opuscolo sulla roulette e va al casinò. Per parecchio tempo osserva i giocatori e respira l’atmosfera di grande tensione che caratterizza il gioco: ”si faceva silenzio, un silenzio strano, angoscioso, quasi vibrante di frenate violenze…”, tutti gli occhi si volgevano alla pallina con varia espressione: d’ansia, di sfida, d’angoscia, di terrore…”. Mattia comincia a giocare, viene preso dalla febbre del gioco e vive uno stato di lucida ebbrezza. C’è quasi una forza diabolica in lui che gli suggerisce i numeri e lo fa vincere in continuazione.
Dopo aver vinto una grossa somma, 11.000 lire, Mattia è incerto sul da farsi: tornare a casa da una moglie arida e rancorosa verso la quale non prova più alcun affetto o partire per l’America?
Nei 12 giorni seguenti torna al casinò e continua a giocare, vincendo fino al nono giorno, dopodiché la fortuna sembra abbandonarlo.
Il dodicesimo giorno Mattia viene informato che un giocatore che aveva conosciuto in precedenza, si è suicidato. Mattia lo vede disteso in mezzo al viale, con la rivoltella ancora in pugno. Prende un fazzoletto e gli copre il volto sfigurato, tra le proteste della gente alla quale viene tolto il meglio dello spettacolo.
Mattia decide di abbandonare il gioco e ritorna a Nizza con 82.000 lire.
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