Parallelamente
venne indetta una settimana nazionale di mobilitazione, che in
realtà non ebbe luogo in seguito alle decisioni adottate in seno al
governo. In un’Italia ancora divisa in due, con il Centro-Sud liberato e
la Repubblica di Salò nel Nord occupato dai tedeschi,
a Roma su richiesta di De Gasperi e Togliatti la questione venne
infatti esaminata dal Consiglio dei ministri il 24 gennaio 1945. Il 30
si ebbe l’approvazione, ratificata con il decreto
luogotenenziale n. 23, datato 1° febbraio 1945, un breve testo il quale stabiliva all’art. 2 che, vista l’imminente formazione nei Comuni delle liste elettorali, nelle suddette si
iscrivessero in liste separate le elettrici.
Decreto luogotenenziale
1° febbraio 1945, n. 23
DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE
1° febbraio 1945
Estensione alle donne del diritto di voto
UMBERTO DI SAVOIA
PRINCIPE DI PIEMONTE
LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO
In virtù dell'autorità a Noi delegata;
Visto il decreto legislativo Luogotenenziale 28
settembre 1944, n. 247, relativo alla compilazione delle liste elettorali;
Visto il decreto-legge Luogotenenziale 23 giugno
1914, n. 151;
Vista la deliberazione del Consiglio dei
Ministri;
Sulla
proposta del Presidente del Consiglio dei
Ministri, Primo Ministro Segretario di Stato e Ministro per
l'interno, di concerto con il Ministro per la grazia e giustizia;
Abbiamo sanzionato e promulgato quanto
segue:
Art. 1
Il diritto di voto è esteso alle donne che si trovino nelle condizioni previste
dagli articoli 1 e 2 del testo unico della legge elettorale politica, approvato
con R. decreto 2 settembre 1919 n. 1495.
Art. 2
È ordinata
la compilazione delle liste elettorali femminili in
tutti i Comuni. Per la compilazione di tali liste, che saranno
tenute distinte da quelle maschili, si applicano le disposizioni del
decreto legislativo Luogotenenziale 28 settembre 1944 n. 247, e
le relative norme di attuazione approvate con decreto del Ministro
per l'interno in data 24 ottobre 1944.
Art. 3
Oltre quanto stabilito dall'art.
2 del
decreto del Ministro per l'interno in data 24 ottobre
1944, non possono essere iscritte nelle liste elettorali le donne
indicate nell'art. 354 del Regolamento per l'esecuzione del testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.
decreto 6 maggio 1940 n. 635.
Art. 4
Il presente decreto entra in vigore il giorno
successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno.
Ordiniamo, a chiunque spetti, di osservare il
presente decreto e di farlo osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addì 1° febbraio 1945
UMBERTO DI SAVOIA
BONOMI - TUPINI
Paura del voto femminile
Alla
vigilia delle prime elezioni in cui anche le donne vennero chiamate ad
esprimere il proprio parere, nessuna forza politica poté ignorare
quale enorme importanza avrebbe assunto l’elettorato femminile, che,
con 14.610.845 persone che acquisirono il diritto a recarsi per la
prima volta in una cabina elettorale, costituiva circa il
53% del totale.
De
Gasperi e Togliatti erano fondamentalmente concordi sull’estensione del
suffragio, ma dovettero scontrarsi con la diffidenza che il
provvedimento suscitò, per motivi diversi, all’interno dei loro partiti.
Nel PCI i dubbi circa i risultati delle urne erano legati al timore che le
donne si lasciassero troppo influenzare dai loro parroci e dalla Chiesa.
Le
perplessità democristiane erano invece legate alla possibilità che, con
la
nuova partecipazione alla vita politica, esse si allontanassero
progressivamente dai valori tradizionali, incrinando così l’unità della
famiglia.
Per
Nenni e per i socialisti il voto femminile era sicuramente un fatto
positivo, ma potenzialmente pericoloso. Il Partito Liberale, il
Partito Repubblicano e il Partito d'Azione si mostrarono a volte
indifferenti, a volte diffidenti verso il voto alle donne, per
timore che risultasse un vantaggio per i partiti di massa.
In
più casi venne addirittura rinfacciato alle italiane di essere arrivate
al
diritto di voto senza aver fatto gran che per ottenerlo, di non aver
avuto un movimento suffragista veramente combattivo e consapevole, come
ad esempio quello inglese, e molti ribadirono che le
donne erano assolutamente impreparate a compiere il loro dovere
elettorale.
Alle urne
In Italia le donne cominciarono ad esercitare il diritto di voto a partire
dalle elezioni amministrative che si tennero in tutta la Penisola fra marzo e aprile 1946. Il 2 giugno dello stesso anno si recarono di nuovo alle urne per il referendum
monarchia-repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente.
"IN ITALIA SI VOTA
CASTELGANDOLFO -
Per fa prima volta dopo ventiquattro anni si sono avute libere elezioni
in Italia. Tanto nelle città come nei
piccoli centri tutti hanno votato in un ambiente assolutamente
calmo. In molti casi le donne, specialmente le contadine, sono state le
prime a recarsi alle urne". L'Europeo, 25 marzo 1946
Il 2 giugno 1946, su 556 membri totali vennero elette 21 donne all'Assemblea
Costituente.
La DC, che aveva ottenuto il 35,2% dei voti e 207 costituenti, aveva fra i
suoi rappresentanti 9 donne.
Il PSIUP aveva il 20,7%, 115 seggi e 2 donne. Il PCI ottenne il 19% dei
consensi, 104 costituenti e fra di essi 9 donne.
40
seggi andarono a vari gruppi moderati, 30 seggi al Partito dell’Uomo
Qualunque, di cui uno assegnato a una donna. 23 seggi furono
assegnati ai repubblicani e 7 al Partito d'Azione: fra le loro fila
nessuna donna.
Le
ventuno costituenti appartenevano prevalentemente alla classe media.
Tredici erano laureate, soprattutto in materie
umanistiche; c'erano poi un’impiegata e una casalinga; due delle
comuniste erano state operaie. Avevano nel complesso una buona cultura e
provenivano, per la maggior parte dal Centro-Nord del
Paese, dove lo sviluppo economico era stato più precoce e dove si
era vissuta la Resistenza.
I lavori dell’Assemblea
Costituente
Il
28 giugno 1946 l’Assemblea procedette all’elezione del Capo provvisorio
dello Stato Enrico De Nicola, il quale avrebbe esercitato le sue
funzioni fino a quando non fosse stato nominato il Capo dello Stato a
norma della Costituzione che sarebbe stata approvata
dall’Assemblea.
Ai
fini di un più efficiente svolgimento del proprio lavoro, l’Assemblea
deliberò la nomina di una Commissione per la Costituzione, composta
di 75 membri scelti dal presidente sulla base delle designazioni dei
vari gruppi parlamentari in modo da garantire la
partecipazione della totalità delle forze politiche, con l’incarico
di predisporre un progetto di Costituzione da sottoporre al plenum
dell’Assemblea. La Commissione, nominata il 19 luglio 1946 e
presieduta da Meuccio Ruini, procedette nei suoi lavori
articolandosi in tre sottocommissioni: la prima sui diritti e doveri dei
cittadini; la seconda sull’ordinamento costituzionale della
Repubblica (divisa a sua volta in due sezioni, per il potere
esecutivo e il potere giudiziario, più un comitato di dieci deputati per
la redazione di un progetto articolato sull’ordinamento
regionale); la terza sui diritti e doveri economico-sociali.
Le donne fra i 75 membri della Commissione furono:
Maria Federici, per la DC, Lina Merlin, per il PSl, Teresa Noce e Nilde lotti,
per il PCI; il 6 febbraio 1947 si aggiunse Angela Gotelli (DC).
Una
volta terminato il lavoro delle sottocommissioni, la Commissione dei 75
affidò l’incarico di redigere un progetto organico e unitario ad un
comitato di redazione, composto di 18 membri. Il comitato approntò il
progetto di Costituzione e lo sottopose alla Commissione
per la Costituzione, che approvò a sua volta il testo con lievi
modifiche e lo presentò il 31 gennaio 1947 all’Assemblea Costituente. Il
comitato di redazione ebbe anche l’incarico di
rappresentare la Commissione dei 75 durante la discussione presso
l’Assemblea plenaria, che si svolse dal 4 marzo al 20 dicembre 1947; il testo definitivo venne presentato all’Assemblea che lo votò il
22 dicembre 1947. La Costituzione venne promulgata il 27 dicembre dal Capo provvisorio dello
Stato ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
La parità tra uomini e donne è affermata in particolare negli
articoli 3, 29, 31, 37, 48 e 51 della Costituzione italiana.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese.
Art. 29
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla
legge a garanzia dell’unità familiare.
Art. 31
La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e
l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
Art. 37
La
donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le
stesse retribuzioni che spettano al
lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento
della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al
bambino una speciale adeguata protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il
diritto alla parità di retribuzione.
Art. 48
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale
irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.
Art. 51
Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche
elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli
italiani non appartenenti alla Repubblica.
Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario alloro adempimento
e di conservare il suo posto di lavoro.
La Redazione ringrazia A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti" per la preziosa documentazione
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