giovedì 4 dicembre 2014

L'ITALIA E L'ALFABETIZZAZIONE 2) La scolarizzazione nell'età della Sinistra Storica

Con la Legge Coppino, promossa dalla Sinistra "storica" nel 1877, si stabilirono sanzioni per chi evadesse l’obbligo scolastico, specificando che tale obbligo non poteva essere certamente preteso da parte di coloro che non avevano possibilità economiche adeguate per attuarlo, di coloro che fossero ammalati e di quelli, infine, che fossero troppo distanti da una sede scolastica. Dunque, ci si impegnava a rendere operante l’obbligo scolastico, almeno per un triennio, dai 6 ai 9 anni di età, si avvertivano miglioramenti, non solo in termini economici, ma altresì in termini di autonomia per i maestri e per i professori e si pose maggiore attenzione ai problemi dell’istruzione tecnica e professionale.  La legge conferì inoltre un riordinamento dell’insegnamento elementare, prolungato da quattro a cinque anni, di cui erano obbligatori i primi tre, che costituivano il corso inferiore. Dai provvedimenti legislativi, comunque, emergeva che la scuola cercava di fornire, da una parte, la prima forma di assimilazione dei valori cittadini a chi veniva dalla campagna, dall’altra cominciava a sostituire, nei ceti urbani, la cultura artigiana che andava sempre più esaurendosi.Inoltre, si cercava di recuperare i ceti subalterni e anche popolari, cercando di fare in modo che la scuola riuscisse ad integrarsi e si impegnasse più organicamente nel passaggio da una società sostanzialmente agricola ad una società in via di sviluppo industriale. Questa linea, veniva ribadita non solo dai Programmi e dalle circolari Ministeriali, ma anche e soprattutto, dalla tipologia dei libri scolastici suggeriti ed adottati, che rappresentavano certamente l’operazione più incisiva e accurata volta ad acculturare il popolo sulla base di principi, di ideali e di comportamenti strettamente funzionali agli interessi della classe dirigente.In Italia, dunque, cominciava a mettersi in moto il processo che nella prima metà del secolo XIX si era manifestato nella maggior parte degli stati: un crescente interesse per l’alfabetizzazione e la scolarizzazione del popolo, che si tradusse in disposizioni legislative dirette a riordinare e generalizzare la scuola di base, gestita o controllata dallo Stato.
Nel periodo immediatamente successivo all'unificazione, l’acculturazione degli strati inferiori della società divenne questione di grande interesse: economisti, politici, proprietari terrieri e in seguito i protagonisti della prima industrializzazione, guidarono l’operazione di conquista culturale delle masse popolari. La borghesia risorgimentale sentiva l’urgenza di conquistare il popolo non tanto a progetti politici di cui essa sola riteneva di poter e dover sopportare il peso quanto ai propositi di rinascita economica e di conquista di quel grado di “civiltà” considerato indispensabile alla fondazione morale del nuovo stato.
Più tardi, nei primi decenni dopo l’Unità, la parte più dinamica e di più larghe vedute della classe dirigente si pose il problema di fondare sulla trasmissione di una serie di comportamenti ispirati ai valori centrali del lavoro e della patria, l’unificazione reale e lo sviluppo industriale del paese.
Al momento nell’Unità gli analfabeti erano il 74,7%, dopo cinquant’anni, nel 1911, erano il 37,9%.
Un risultato significativo se si pensa che la progressiva sconfitta dell’analfabetismo si accompagnava ad una importante riforma degli atteggiamenti e dei valori della cultura popolare.

(informazioni ricavate dal web e dai testi di storia)

La Redazione

  

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