Tutto iniziò nella lontana Cina, nella città di Whuan.
In principio, in noi ragazzi non vi era molta preoccupazione: si trovava in un posto molto lontano da noi, non pensavamo che sarebbe mai arrivata fin qui.
Ma alcuni mesi dopo, precisamente alla fine di febbraio, arrivarono notizie dei primi casi di Coronavirus in Italia, soprattutto ci furono numerosi focolai in Lombardia.
Pochi giorni dopo, la notizia delle chiusure delle scuole. Venne dato il via ad una sorta di “quarantena” durante la quale i ragazzi non avrebbero frequentato la scuola, i rapporti fra gli individui sarebbero dovuti diminuire in via precauzionale e tutti i viaggi avrebbero dovuto essere annullati.
I primi giorni, tutti i supermercati furono presi d’assalto e scarseggiarono i generi alimentari sugli scaffali, ma questo panico si placò, fortunatamente, nel giro di 48 ore. Ristoranti e negozi cinesi chiusero fino a data da destinarsi. Le persone prese dal panico iniziarono ad abusare di disinfettanti e antibatterici (e il prezzo dell’Amuchina salì alle stelle), c’era chi sosteneva che sarebbe stata una pandemia, chi pensava che saremmo morti tutti, e chi, invece, si limitava a stare tranquillo in casa, aspettando che questo misterioso virus sparisse dalla circolazione. In giro si iniziarono a vedere i primi individui muniti di guanti e mascherina, soprattutto sui mezzi pubblici. Le persone si evitavano e se qualcuno, per caso, tossiva in mezzo alla folla, le persone circostanti si allontanavano spaventate.
Sembrava una situazione paranormale, vi era paura anche ad uscire per prendere una boccata d’aria. La riapertura delle scuole venne rimandata di settimana in settimana.
Il panico tra noi aumentò ancora quando vi furono i primi casi in Liguria, ad esempio a Savona e ad Alassio. Iniziai pure io a limitare le uscite da casa, cosi come fecero anche i miei amici e conoscenti. A scuola adottammo la didattica online, ossia studiavamo da casa attraverso telefono e pc. Eravamo costantemente in allerta per controllare gli eventuali nuovi casi e il numero dei decessi causati dall’epidemia.
Tutta l’Italia era occupata nello sconfiggere questa nuova malattia, per la quale non esisteva un vaccino. Gli ospedali erano sempre pieni di persone, alcune positive al virus, altre che, semplicemente, volevano sottoporsi al tampone per controllare se erano infette o meno. Con i giorni aumentarono i casi positivi, aumentarono i decessi ma, fortunatamente, aumentarono anche i guariti. Le persone impararono a convivere con questa paura, e si adattarono alle misure cautelari imposte da governo e dai medici.
Poi, poco alla volta, come sempre è accaduto in tutte le epidemie, la situazione andò normalizzandosi: furono trovate cure efficaci, venne trovato un vaccino, il contagio divenne sempre meno diffuso.
Sono passati già 65 anni, eppure me lo ricordo come se fosse ieri, il lontano 2020...
Sara Delponte, III A LES
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