Sto leggendo “Mia”, la storia di Ivan Zaytsev, simbolo della pallavolo italiana, considerato lo “zar” e capitano della nazionale maschile. Lo considero uno di quei libri che ti fanno perdere la cognizione del tempo: puoi leggere un centinaio di pagine in un’ora, perché hai così tanta voglia di voler sapere come va a finire che vuoi arrivare subito al punto, oppure leggerne molte meno in un’ora, magari la metà o soltanto un paio di capitoli, perché quel libro ti emoziona, vuoi accarezzare ogni parola e fare delle pause per riflettere. Anche se le autobiografie non sono proprio il mio genere, mi appassiona molto come storia perché io e il protagonista abbiamo una passione indelebile in comune: la pallavolo. Quando racconta la sua storia riesco quasi a sentire la tensione, la fatica, la rabbia, la paura, la tenacia, la determinazione e la felicità, perché è quello che sento anche io quando pratico questo sport.
Ecco cosa mi manca in queste giornate: ho nostalgia anche della scuola, non lo nego, ma mai quanto della pallavolo. Lo studio e lo sport sono i due grandi mondi che accompagnano le mie giornate nove mesi all’anno e, nonostante la fatica e gli sforzi, non mi piace stare senza. Non resto a casa per paura di quello che c’è in giro, però il fatto di non avere impegni mi rende le giornate troppo monotone, e non vedo l’ora che arrivino le sette di sera, così i miei genitori tornano a casa e non sono più da sola. Ho un fratello più grande, si chiama Matteo, ma lui è sempre in giro con i suoi amici o con la sua ragazza. Io, ultimamente, non so, sarà il periodo, ma penso :“loro non mi cercano e io non cerco loro”; non sono mai stata io a chiedere alle mie amiche di uscire, per i miei troppi impegni, e non voglio farlo ora che sarebbe l’unica alternativa per non starmene chiusa in casa. Sono coerente, ma forse troppo ostile. Spero sempre siano gli altri ad accorgersi e a ricordarsi di me, e se questo non succede poco importa.
Come i miei genitori, io sono sempre stata abbastanza tranquilla per tutta questa situazione e tutt’ora lo sono. Trovo folle le decisioni di alcune famiglie di cittadini di assalire supermercati e farmacie, dove prodotti come mascherine e disinfettanti si sono esauriti in brevissimo tempo e ora i loro prezzi rappresentano cifre improponibili.
Ancora più folle, forse, è la decisione di passare la giornata in luoghi chiusi e pieni di gente, come nel caso dei centri commerciali o dei negozi nella vie del centro, oppure prendere d’assalto i luoghi piccoli e aumentare così il contatto reciproco, com’è successo in questi giorni nella piccola spiaggia di Boccadasse, dove, contro un’ordinanza ministeriale, i cittadini si sono ammassati senza mantenere un metro di distanza fra loro. Lo stesso Governatore Toti, con un post su Instagram, si è lamentato del comportamento dei liguri, affermando: “il primo provvedimento è il buon senso, usare la testa!”. Anche il cantante rap Emis Killa ha dedicato un post sul suo profilo social per mandare un messaggio a tutti gli italiani: presto, questa condizione porterà gli ospedali a lasciare alcuni pazienti fuori a morire perché non ci sono abbastanza letti per tutti, e ovviamente questi saranno gli anziani. Quindi, quando noi scegliamo di uscire, invece di starcene a casa, stiamo mancando di rispetto a loro, mettendo ancora più a rischio questa situazione.
Io sono convinta che le stesse persone che seminano un po’ d’ansia generale, quelle che guardano la televisione e si affidano alle notizie dei giornalisti, sono le stesse che prima assalgono i supermercati e poi escono, passando la giornata nei posti affollati. Non dico che le scelte che prendono siano sbagliate, anche perché io non sono nessuno per giudicare certi comportamenti, però penso che alcune decisioni siano un controsenso. La scelta, ad esempio, di tenere dei bar in alcune parti d’Italia aperti soltanto in una piccola fetta della giornata, come se in quelle due o tre ore il virus non si possa prendere, o quella di chiudere i centri commerciali nel weekend, quasi come se in settimana le persone siano immuni. Perché chiudere le scuole e lasciare aperti gli uffici pubblici? Se una persona infetta va a fare un pagamento in un ufficio, i dipendenti possono essere infettati e portare il virus ai figli. Poi pensate davvero che con le scuole chiuse tutti i ragazzi se ne stanno chiusi in casa? Non è così. Il loro tentativo è quello di limitare il contagio. Però ovviamente il problema è molto più serio.
Alessia Bertacchini, II A LES
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