venerdì 25 novembre 2016

25 novembre - Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

"La violenza è una mancanza di vocabolario".Gilles Vigneault


Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal. Sono loro il motivo di questa ricorrenza tanto sentita e su cui ancora tanto c’è da fare.
Sono tre sorelle nate nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante, durante il periodo della dittatura di Rafael Trujillo. Contro la dittatura si spesero molto e combatterono con il nome di battaglia Las Mariposas (Le farfalle). La loro opera rivoluzionaria fu talmente efficace che lo stesso dittatore in una visita a Salcedo (la città originaria delle ragazze) esclamò: “Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal”.
Il 25 novembre 1960 Minerva e Maria Teresa decisero di far visita ai loro mariti detenuti in carcere come prigionieri politici.
Nonostante la pericolosità del viaggio, Patria, la sorella maggiore, decise di accompagnarle anche se il suo marito fosse rinchiuso in un altro carcere. Durante il viaggio le tre donne vennero prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise; la loro macchina verrà gettata in un dirupo per simulare un incidente.
L’assassinio delle sorelle Mirabal provocò una grandissima commozione in tutto il paese, che pure aveva sopportato per trent’anni la sanguinosa dittatura, e risvegliò l’indignazione popolare che portò poi all’uccisione di Trujillo e alla sua detronizzazione.
L’unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti rimasti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni.
Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: “Sopravvissi per raccontare la loro vita”. Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come “fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle”.
La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek.
La loro storia, terribile e crudele, ha ispirato l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che nel 1999 dichiara il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne proprio in loro memoria.

La Redazione

mercoledì 23 novembre 2016

Viviamo nel mondo dei sogni o della realtà?

E' da due settimane che sto leggendo il libro sull'interpretazione dei sogni di Freud e siccome mi ha incuriosito molto, volevo sviluppare una mia riflessione partendo dalle sue considerazioni... non è stato facile comprenderlo del tutto, ci sono capitoli del suo libro che dovrei rileggere altre due volte per arrivare ad una conclusione, ma quello che ho scritto in questo mio articolo è tutto quello che mi è arrivato, ovviamente personalizzandolo molto. Giorgia

I sogni sono qualcosa di particolare e difficile da decifrare, che non riusciamo a spiegare e che il nostro inconscio crea ogni notte e che non sempre il mattino dopo ci ricordiamo. Alcune volte ci ricordiamo i sogni per giorni, mesi; altre volte, invece, subito dopo un'ora dal risveglio, dimentichiamo completamente l’oggetto del sogno che ci sembrava di ricordare così bene, ma è comunque difficile trovare una spiegazione plausibile a tutto questo. I sogni sono legati alla fase del sonno e alla persona che vive il sogno sembra che tutto sia vero durante questa fase. Molto discussa è sempre stata la funzione che svolgono i sogni all'interno della nostra vita. Molti credono che sia qualcosa che ci abbia colpito durante la giornata o nel passato e lo riviviamo in modo diverso magari cambiando qualcosa inconsapevolmente. La fantasia gioca un ruolo importante nei sogni. La cosa assurda è che durante un sogno noi proviamo emozioni e sentimenti significativi, gioie, dolori, paura e timore, orrore, esattamente come nella realtà e nella vita di tutti i giorni. La psicoanalisi ha tentato da sempre di studiare i sogni e di cercare di capire quanto fossero influenzati dalle esperienze quotidiane o del passato, come mai avvenivano, il ruolo dell'inconscio, dell'Io ecc. La psicoanalisi fu introdotta da Freud e proprio lui cercò di provare ad interpretarli e trovare una spiegazione. Freud ha ritenuto durante i suoi studi che il sogno fosse una specie di teatro in cui la storia veniva messa in scena dal nostro inconscio, attraverso azioni ed emozioni che provavamo durante il giorno. Secondo Sigmund Freud, il sogno mette in scena qualcosa che noi nel profondo desideriamo che avvenga, un desiderio che però è rimasto inappagato durante la nostra esistenza e che speriamo che si realizzi. Questo processo del sogno viene spiegato attraverso due fasi: un processo primario ed uno secondario. L'attività onirica (ossia il dormire sognando) è sempre stata difficile da studiare e da interpretare. Una legge comune non la si trova e non si riesce a credere pienamente a qualche studioso rispetto ad altri.  L'interpretazione dei sogni per Sigmund Freud è una via privilegiata per addentrarsi nell'inconscio; la cosiddetta autoanalisi, cioè l'analisi che Freud mise in atto sulla propria persona, fu portata avanti in buona parte sul materiale che i suoi stessi sogni gli offrivano. Nel 1900 appare il saggio "L'interpretazione dei sogni", che può venir considerata il vero e proprio manifesto della psicoanalisi; stando a Freud, il sogno non è l'inconscio e basta, ma è solo una delle sue manifestazioni, la quale, se opportunamente interpretata, permette di accedere ai contenuti repressi e al modo di lavorare dell'inconscio stesso. Durante il sonno, infatti, la censura messa in atto dalla coscienza si affievolisce e così l'inconscio, coi suoi desideri rimossi, preme con più intensità e genera tensioni; il sogno, presentando all'immaginazione come realizzati i desideri inconsci, rende possibile la liberazione di queste tensioni: in questo senso, il sogno viene concepito da Freud come l'appagamento di un desiderio. 
Utilizzando parole semplici, che cosa sono allora i sogni? I sogni sono l'insieme di tutti i nostri desideri più o meno repressi e si manifestano durante la notte, quando la parte razionale della nostra mente non è attiva. Io penso, però,che il più delle volte i sogni non sono altro che illusioni: quante volte ognuno di noi, svegliandosi la mattina, si è ricordato qualcosa di particolarmente positivo, ha aspettato durante la giornata che accadesse rimanendo poi deluso? Credo parecchi di noi, ed è per questo motivo che penso che i sogni siano solo delle illusioni: possono darci una felicità immensa, ci fanno arrabbiare, sperare, spaventare o addirittura farci stare male ma non sono altro che il frutto della nostra immaginazione, che magari ha deciso di prenderci un po' in giro...  Non bisogna, quindi, dare troppa importanza al mondo dei sogni; certo li si può interpretare, analizzare, scoprirne il significato, ma non vivere in funzione di essi: la vita stessa sarebbe costruita su di una continua illusione, perdendo così di vista la realtà che ci circonda e chiudendosi in un mondo irrazionale e irreale. Possiamo,quindi, anche decidere di vivere un sogno e decidere di farci illudere dal suo significato ma non dobbiamo farci prendere troppo la mano, il sogno è solo un'utopia, un'illusione momentanea; cerchiamo quindi di vivere la nostra vita e la nostra realtà di tutti i giorni che, a volte, può essere più bella ed entusiasmante di una realtà fittizia e costruita sul nulla.  Poi sono la prima, Io adoro sognare ad occhi aperti,fantasticare con la mente e immaginare a volte anche l'impossibile,tutto ciò,mi aiuta a rilassarmi, a distendermi e a stare bene con me stessa. In genere mi succede di sognare ad occhi aperti, quando tra lo studio e le varie cose da fare,riesco finalmente a stendermi cinque minuti sul mio morbido e soffice letto per riposare. Una cosa è certa,quando sogno ad occhi aperti, la mia fantasia si spinge veramente oltre l'immaginabile.
La vita non è sogno. Eppure molti pensano che lo sia. Perché? Perché rifugiarsi nella dimensione astratta del sogno, delle apparenze, dell' immaginazione e delle utopie, costruendosi un mondo irreale, può sembrare una soluzione. Soluzione di che? Della drammaticità del rapporto che si stringe fra la persona e la realtà. Così, noi diveniamo facile preda del potere del sogno che incanta, facendoci sognare un mondo migliore, che però non esiste, entro il quale ci costringe a crederci,  senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo. A un'entità astratta e avvolgente. I fatti della vita, la realtà delle cose con la quale si è costretti a misurarsi ogni giorno, riportano l' uomo alla sua vera misura. La concreta consapevolezza della positività del suo compito e la passione ideale lo rendono capace di "modificare poco o tanto, ogni passo del suo cammino. L'ideale è quanto di più concreto esiste e, come tale, è il contrario del sogno e dell' utopia". Solo partendo da un'ipotesi positiva si può costruire qualcosa, ma tale ipotesi si formula qui e ora, non va portata a un tempo e a un luogo immaginario. Il richiamo esistenziale alla realtà è la condizione del perché l'uomo possa combattere "l'idolo" delle apparenze e così diventare totalmente cosciente che la vita non è sogno…  
Secondo me sognare fa bene quando i sogni ci "ricaricano". Il cervello crea nuove immagini quando avverte che la realtà sta diventando troppo grigia e opprimente. Non riuscirei a respingere il mio sogno in quel determinato caso di vita, perché ammorbidisce la durezza del mio mondo, rendendolo meno aggressivo e può diminuire le frustrazioni, permettendomi di ricaricare le pile e dare il via a una situazione più rassicurante…. 
Fa bene sognare anche quando i sogni/desideri sono realizzabili. Gestire un ristorante o l'amore per dei libri, la conoscenza dei fiori o creare vestiti: ogni giorno ti parla di una passione che può essere coltivata e darti, quando serve la giusta ricarica di energia. È interessante seguire le sue tracce e impegna, secondo me, la fantasia per un sogno che sia anche progetto di cambiamento... E se è alla tua portata, può diventare realtà. Certo, col tempo cambia l'età, cambiano i desideri, cambi tu. Magari prima ti vedevi dietro un bancone e oggi accarezzi l'idea di fare volontariato. Non voglio temere  di abbandonare il sogno che ti accompagna fin da giovane per abbracciarne un altro. Alcuni sogni vanno sullo sfondo, altri ti accompagnano per sempre, ma ognuno di questi è indispensabile e ti permette di conoscerti meglio.
Invece sognare  a volte fa male perché  i sogni ad occhi aperti diventano il rifugio sbagliato, se sono una fuga. Se ogni volta che soffri o che ti senti inadeguato ti rifugi nel sogno e ti racconti una storia molto diversa dalla realtà, utilizzi l'immaginario per appagare un desiderio che non riesci e, forse, non vuoi realizzare. È un artefatto, un'illusione che, se al momento ti consola e ti difende dalle frustrazioni, nel tempo può bloccare la tua energia vitale. Il sogno è in continuo cambiamento nei contorni, nei contenuti, nelle sfumature. Più lo affini e lo arricchisci di dettagli più lo impoverisci rendendolo solo una costruzione artificiale capace di uccidere fantasia e creatività.
Molto volte sogniamo cose davvero improbabili. Inutile sognare di fare la ballerina alla Scala se non hai mai preso lezioni di danza o di diventare uno sportivo professionista se non hai alcuna attitudine. Se ti culli in queste fantasie del tutto prive di fondamento non solo ti anestetizzi, allontanandoti da una realtà che non ti piace, ma rischi di prolungare per molto, troppo tempo il tuo disagio.
È difficile lo so, sono la prima a volte a desiderare, sognare cose che non potrebbero mai accadere nella mia vita: una volta sognata quella utopia, cosa faccio?? Beh mi guardo attorno, guardo dentro me stessa, mi faccio due domande, e piano piano mi accorgo che forse quel desiderio sognato non è la realtà che fa per me… mi fa male ogni volta non sapere quale sia la realtà giusta per me, ma se ci penso bene, da una parte è molto meglio così, perché sognare cose, pensieri, persone che ci allontanano solo dalla nostra realtà? Invece di concentrarci di più sulla vita dei sogni, concentriamoci di più sulla nostra vita reale, e facciamo un qualcosa per migliorarla se proprio non ci piace, non dobbiamo solo fantasticare su come vorremmo la nostra vita, cosa vorremmo dalla nostra vita, con quali persone vorremmo passare la nostra vita… ma agiamo in qualche modo, è solo cosi che possiamo trovare dei miglioramenti..

Giorgia La Fauci, IV E tur




giovedì 17 novembre 2016

Due nostre giornaliste sul Secolo XIX!

Iris Tagliani della IV E Tur ed Elisa Anastasio della IV D Tur dalla Redazione del nostro giornalino a quella del Secolo XIX: complimenti, ragazze, dalla vostra "Direttora" ;-)

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lunedì 14 novembre 2016

Il dibattito sì!



In redazione ci si confronta e si comprende come possano esserci punti di vista diversi. Nel momento in cui si ragiona su una esperienza comune, ecco che si capisce come possa essere vissuta diversamenteEccone un esempio :-)

Una delle esperienze di alternanza scuola/lavoro che ci è stata proposta è stata in Costa Crociere. Non è stato solo un periodo di stage come tutti gli altri, ma è stata più che altro un’opportunità per il nostro futuro.
Lo stage è iniziato il 10 ottobre negli uffici della Costa. Il primo giorno ci hanno parlato della storia della Costa dal 1948 ad oggi, delle navi che formano l’equipaggio, del contratto e ci hanno dato un quadro generale sui principali settori di bordo; dopo questa presentazione generale abbiamo fatto un quiz per verificare soprattutto il nostro interesse in questo stage, visto come un futuro posto di lavoro.
Successivamente a questa presentazione generale sono venute a parlare con noi varie persone, come per esempio dei manager, provenienti ciascuno da diversi settori. Ognuno di essi ci ha presentato il proprio dipartimento, spiegandoci la suddivisione interna ad esso e come viene organizzato il lavoro.
Quello che viene fatto negli uffici è tutto un dietro le quinte rispetto alla crociera vera e propria, ci hanno parlato di come viene pensato l’itinerario di un nave, di come viene deciso il prezzo di vendita, di come viene venduto il prodotto grazie al dipartimento di Contact Center o tramite agenzie di viaggio, ma anche di come si decidono le escursioni che avvengono per ogni porto di attracco, di come vengono organizzati gli eventi di animazione a bordo e come viene gestito il numero di equipaggio in base alla stagionalità.
È stata un’esperienza interessante, chi veniva a parlarci lo faceva trasmettendo la passione con cui fa il suo lavoro, non sempre è stato divertente ci sono stati argomenti più interessanti e coinvolgenti e altri più noiosi, ma ho ritenuto questi giorni molto utili per farci conoscere un’opportunità di lavoro nel settore crocieristico, che, oggi, influisce molto sul turismo.
Il progetto negli uffici Costa si è concluso una settimana dopo, il 19 ottobre, quando ogni gruppo ha esposto il proprio lavoro, a compagni, professori e membri degli uffici. Il mio gruppo ha parlato di Sostenibilità e Comunicazione, l’obiettivo di questo dipartimento è di rafforzare il marchio e l’immagine dell’azienda, appoggiando la crescita in modo sostenibile e corretto; il reparto di comunicazione diffonde le caratteristiche del prodotto interagendo con parti esterne, mentre il reparto di sostenibilità diffonde le attività con lo scopo di migliorare l’impatto ambientale e sociale dell’azienda. Per quanto riguarda il mio gruppo abbiamo preparato una relazione scritta e un power point da mostrare. Esporre la relazione di fronte a molte persone è stato un modo per mettersi in gioco e crescere ancora di più, perché per parlare davanti a un pubblico devi essere te stesso, non devi essere timido o vergognarti e combattere l’ansia che sale in te prima del tuo turno.
Lo stage in Costa Crociere si è concluso con la visita della nave Costa Diadema, la più grande della flotta, detta “la regina del Mediterraneo”. Per la visita ci siamo recati a La Spezia dove era attraccata quel giorno. Una volta saliti a bordo, dopo numerosi controlli, siamo andati in una sala dove ci hanno parlato alcuni membri dell’equipaggio, tra cui una ragazza che aveva studiato nella nostra scuola e aveva intrapreso il nostro stesso percorso. Lei ci ha spiegato quali sono state le diverse tappe del suo percorso e le difficoltà che ha incontrato e che ora l’hanno portata ad avere un lavoro che le piace, che le dà soddisfazione. Nel pomeriggio abbiamo avuto del tempo a disposizione per visitare autonomamente la nave; abbiamo visto i locali destinati al pubblico e anche alcuni locali che di solito non sono accessibili agli ospiti, come i magazzini dei vestiti di scena degli animatori.
Uno dei settori che mi ha interessato di più è stato “Cruise Operations Shore Excursion”, il dipartimento si occupa delle varie escursioni per i diversi porti, che possono essere storico-culturali, balneari, sportive, panoramiche. Per ogni porto ci sono diversi tipi di escursioni adatte a soddisfare tutte le esigenze; l’unico problema è per i disabili perché i pullman non sono attrezzati per il trasporto delle carrozzelle. Le escursioni sono di diversa lunghezza, da mezza giornata alla più lunga che dura 13 ore; esiste anche l’overland, si tratta di un’escursione di più giorni, i passeggeri scendono in un porto e risalgono in quello successivo. Alcune di esse comprendono il pranzo al sacco, altre prevedono il tempo libero per il pranzo. Con più precisione però quello che mi piacerebbe come lavoro è la Tour Escort, che è colui che si occupa di preparare l’escursione, venderla agli ospiti, e poi accompagnarli durante la visita. La Tour Escort non è una guida turistica, quindi non fornisce informazioni storico-artistiche, ma solo le linee generali e può servire per le traduzioni nelle diverse lingue, se la guida locale non le conoscesse. Questo lavoro mi interesserebbe perché secondo me è un’opportunità che mi permetterebbe di fare quello che mi piace, lavorando e quindi guadagnando, potrei girare per molti posti, conoscerli, scendere con gli ospiti delle navi, e allo stesso tempo mi aiuterebbe a migliorare con le lingue straniere, che sono importanti e che mi piace molto usare. Secondo me quando fai un lavoro che è anche la tua passione ti dà una carica in più per portarti a fare meglio e a dare tanto per quello che fai. Sicuramente, girare il mondo, per me, è un sogno che mi piacerebbe un giorno realizzare, ma non so ancora come lo realizzerò, se grazie a una nave Costa o se per conto mio. Prima di iniziare questo stage non avrei mai pensato che mi sarebbe piaciuto imbarcarmi e fare questo lavoro, ora, invece, ho messo questa opportunità tra le tante. Non so ancora se partire ed essere lontana da amici e parenti è quello che voglio e non so se sono pronta a farlo ora come ora, però di certo è un’occasione molto importante.
Anche il ruolo di animatrice per adulti o bambini mi ha sempre incuriosita, ed è un lavoro che allo stesso tempo ti permette di divertirti e visitare posti nuovi; è anche vero che stai lavorando e non sempre nei porti di attracco puoi scendere e visitare il posto in cui sei ed è forse per questo che mi invoglia meno, quindi probabilmente se volessi fare un’esperienza come animatrice la farei un’estate in un villaggio turistico.
Queste, comunque, sono solo idee che ho adesso e che continuano a cambiare con il passare del tempo; prima di iniziare tutto questo l’idea di salire su una nave non era neanche entrata nella mia testa, ora invece so che per molte persone che ci hanno lavorato è stata un’esperienza che consiglierebbero a noi ragazzi e che è sicuramente un modo per crescere, imparare a vivere in un team e conoscere nuove lingue.
Elisa Bombino, IV D Tur

 
Il mio istituto scolastico Firpo-Buonarroti ha partecipato al progetto alternanza scuola-lavoro. Questo percorso offre agli studenti l'opportunità di conoscere il mondo esterno: quello in cui in un futuro saremo chiamati ad operare. La prima occasione che si è presentata è stata quella di incontrare e conoscere una grande azienda che lavora da decenni nel settore marittimo, l'azienda la Costa Crociere. La Costa è una delle aziende più prestigiose del territorio ligure, conosciuta a livello nazionale e mondiale per la sua professionalità e competenza nel settore turistico. Lo stage prevedeva due momenti separati, le prime quattro giornate sono state dedicate alla comprensione del funzionamento del reparto amministrativo: contact center, marketing, organizzazione delle risorse umane, comunicazione e sostenibilità, intrattenimento, global recruting, programmazione dei percorsi turistici, struttura della reception e allotment. Il secondo momento d'incontro ha previsto la visita della nave Costa Diadema, ormeggiata nel porto di La Spezia. Dal punto di vista formale l'azienda si è presentata discretamente, siamo stati accolti con calore e tutti gli addetti erano entusiasti nel raccontarci il loro lavoro e le soddisfazioni che ne traevano. Del settore amministrativo abbiamo contattato venti persone circa, sulla nave non sono, invece, riuscito a contarle, direi che ne ho viste alcune centinaia, se non di più! Tutti erano intenti nelle attività inerenti al buon funzionamento della complessa struttura della nave. Personalmente, ciò che ho vissuto non ha coinciso su ciò che mi immaginavo, mi sono soffermato molto a ragionare sul termine scuola-lavoro. Sono stati proprio questi due termini a indurmi a pensare ad un'esperienza diversa da quella che ho vissuto. I primi quattro giorni sono stati basati esclusivamente sulla teoria, persone molto gradevoli, disponibili, rispettose ed entusiaste, ma che ci raccontavano la loro esperienza di lavoro. Noi studenti abbiamo avuto più o meno lo stesso ruolo che abbiamo a scuola, cioè ascoltare. Per il significato che io do al lavoro, mi sarebbe piaciuta una partecipazione più coinvolgente, cioè va bene una piccola introduzione teorica, ma la vera sostanza sarebbe stata raggiunta solo nel provare a mettere in pratica poche cose: ad esempio la compilazione della modulistica, vedere dei piani di lavoro, accompagnare per qualche ora il personale durante la concreta attività. Il solo ascolto è limitativo e in alcuni momenti mi è sembrata più una campagna pubblicitaria sull'azienda che l'opportunità di un approccio al lavoro. La visita alla nave, per me, è stata già un'esperienza migliore, rispetto ai quattro giorni passati negli uffici. Ero sul posto di lavoro, osservavo gran movimento intorno, tanta gente occupata nelle proprie attività, è stato gradevole osservare un meccanismo così complesso in funzione. Quando si usano i termini alternanza, scuola, lavoro e mi vengono proposti, io capisco che c'è una differenza: da una parte studio, mi informo, ascolto, prendo appunti, poi, se pur in modo modesto, metto in pratica nel lavoro ciò che ho acquisito nelle lezioni. Non mi aspettavo giornate di lavoro con delle responsabilità che non mi competono, speravo però di accompagnare il personale preposto, per osservare, capire e apprendere come venivano svolte le mansioni, che invece sono state proposte solo teoricamente, come a scuola. Se avessi avuto questa opportunità di confronto lavorativo, per me sarebbe stato tutto più reale e concreto, l'esperienza mi avrebbe lasciato più entusiasmo. Così come si è presentata mi ha invece suscitato un senso di incompletezza, come lasciano tutte le esperienze svolte in maniera un po' superficiale.
Stefano Pavlovic, IV D Tur

venerdì 4 novembre 2016

“PAURA DI CRESCERE?”, “Sì molta…”



La paura di crescere è il timore di molti ragazzi, soprattutto adolescenti. Se da un lato si ha voglia di acquisire maggiore libertà, dall'altro crescere spaventa: maggiori responsabilità, l'università, il lavoro, il mondo visto con occhi diversi. L'argomento è spesso affrontato a scuola, ma molti ragazzi non riescono a mettere nero su bianco tutto quello che sentono e che pensano, Crescere non dovrebbe farci paura, lo facciamo dal concepimento, eppure ci sono età in cui a questo termine si dà un significato diverso, più denso, più importante: uno di questi momenti è quello dell’adolescenza, dal quale dobbiamo uscire adulti, “cresciuti”, appunto. Per avere un’idea di cosa voglia dire questa crescita allora ci guardiamo intorno, guardiamo i nostri genitori, esempio di coppia (a prescindere dal loro esserlo o meno), di responsabili della vita dei più piccoli (a cominciare da noi stessi) e di lavoratori. Dopo aver lanciato uno sguardo su mamma e papà, allarghiamo il campo visivo e includiamo gli altri adulti che fanno parte della nostra vita e poi i nostri coetanei, cercando di immaginare che adulti saranno… e alla fine ci guardiamo allo specchio, proviamo a fantasticare su come saremo tra dieci anni e ci si chiude lo stomaco per la paura… almeno a me capita spesso. Crescere vuol dire diventare più indipendenti, prospettiva che ci fa piacere sicuramente, ma che si accompagna all’assunzione di più responsabilità. Queste responsabilità non riguardano solo noi stessi ma anche altre persone, senza parlare di quelle riguardanti il lavoro o lo studio: dopo le superiori se continueremo a studiare lo faremo per noi e mentire sull’essere andati a scuola non avrà più alcun significato perché non è ai nostri genitori che dovremo risposte. Con l’età adulta anche i rapporti con i genitori, infatti, cambiano: è un gioco di accettazione da entrambe le parti e sia i più giovani che i meno giovani dovranno trovare un nuovo ruolo e imparare a rispettare i limiti che questo presuppone, senza contare il fatto che più cresceremo più vedremo i nostri genitori invecchiare, con la paura di perderli che sale… D’altro canto, i genitori vorranno vedere i nostri risultati, magari qualche nipotino, e dovranno imparare a non fare pressioni in questo senso, nonostante la (loro) paura di perdersi qualche pezzo importante della vita del figlio o della figlia.
Nell’età adulta si suppone arrivi la persona con la quale formeremo una famiglia e divideremo forse la crescita di un figlio: si sa che matrimoni e convivenze oggigiorno hanno una durata che di solito non è più quella
del “finché morte non vi separi” e questa è una consapevolezza che rende più complicati rapporti, che già normalmente non sono semplici, vale a dire quelli con qualcuno che potremmo voler considerare un prossimo partner in funzione di una crescita individuale, che ci si aspetta vada in una certa direzione.
La vita sociale di un adolescente è flessibile (entrano ed escono nuovi membri) e tuttavia rigida: ci si aspetta che gli amici si attengano a un certo codice di comportamento nei nostri confronti e chi non lo fa viene allontanato con grandi sofferenze. Impariamo, via via che l’età adulta si avvicina, che così come le persone possono incrociare la nostra strada esse possono anche allontanarsene e il sistema delle amicizie nell’età adulta, età in cui non si è nemmeno obbligati a stare in una classe con un certo numero di coetanei, appare piuttosto difficile e porta con sé la paura della solitudine: andremo bene così come siamo per altre persone? Come cambierà il nostro modo di condividere e divertirci con gli amici
, una volta che saremo grandi e avremo una serie di cose da fare, incluso il lavoro?
L’ultima grande incertezza riguarda per l’appunto l’ambito lavorativo, del quale per lo più non abbiamo ancora un’idea chiara e che se fino a questo momento dava preoccupazioni che ci toccavano solo marginalmente
, in futuro riempirà gran parte dei nostri pensieri, soprattutto vista la situazione del nostro paese, che presenta dati sulla disoccupazione molto alti. Come potremo costruire la nostra vita da adulti se saremo sempre lavoratori precari, impossibilitati a programmare una vacanza, figuriamoci una famiglia?

In conclusione, visto che la capacità di prevedere e manovrare in anticipo il futuro non rientra tra quelle che sono state date in dote all’essere umano, l’unico modo che abbiamo per calmare la nostra paura di crescere è quella di cercare di prendere decisioni di cui possiamo assumerci la responsabilità. Cerchiamo di seminare bene nel tempo presente, di apprendere dagli altri fintanto che non arriveremo a dover mettere in pratica quanto imparato e per il resto… speriamo per il meglio. Fino a ora ho parlato un po’ in generale, di come la pensa la maggior parte della gente; io devo dire che questo problema, se si può chiamare così, mi tormenta ogni giorno dalla mattina alla sera: è difficile pensare a come sarò tra dieci anni in questo momento, mi sento ancora molto lontana dall’ avere un lavoro o una famiglia. Mi piacerebbero fare così tante cose, cioè nella mia testa so bene cosa fare, però il  mondo in cui vivo oggi non mi concede di farlo…

Insomma: tra me e me so quello che voglio fare, poi apro un attimo gli occhi, mi affaccio sul mondo reale, e mi chiedo: “ sarà la giusta scelta?”, “ma se faccio questo poi non è che in qualche modo me ne dovrò pentire?” e dall’altra parte temi sempre comunque del giudizio della tua famiglia e delle persone che ti circondano in questi giorni. Il periodo che sto vivendo, l’adolescenza, è senz’altro uno dei periodi più difficili della mia vita. In questa fase della crescita, devo affrontare parecchi problemi e responsabilità; sono infatti molti i progetti e le preoccupazioni che caratterizzano questo periodo.

Devo ammettere che ho scelto come scuola l’istituto turistico, perché mi permette di avere molte aperture nel campo lavorativo. Non ho tanto le idee chiare, anzi quasi per niente, ma prima di scegliere questa scuola, ho capito che non si può partire subito con un’idea prefissata, e quindi ho cercato una scuola che mi permettesse di raggiungere un buon grado di cultura generale. Quando ero più piccola, avevo moltissimi progetti per il mio futuro, o meglio uno, ma uno di quelli molto grandi, un sogno, ma ogni giorno cambiavo idea e ancora oggi, devo dire che proprio quell’obiettivo mi fa molta paura, e questo si collega all’altra mia paura: quella, tremenda, di crescere e di intraprendere nuove strade.

Durante l’adolescenza dobbiamo intraprendere la strada giusta, se non vogliamo rendere impossibile il raggiungere quegli obiettivi che ci siamo prefissati. A questa consapevolezza ansiogena (e come potrebbe essere altrimenti?) si uniscono una serie di dubbi sulle nostre capacità e se da un lato non vediamo l’ora di spiccare il volo, dall’altro siamo siamo frenati dalla paura di sfracellarci sulle rocce come un uccello distratto …

 Possiamo immaginare il nostro futuro in molti modi diversi perché magari abbiamo molti talenti, oppure abbiamo un sogno preciso e questo è così delineato che l’idea che non si avveri ci paralizza e ci impedisce di tentare qualcosa per realizzarlo o, ancora, non abbiamo la più pallida idea di quello che vorremmo dal futuro: in un caso o nell’altro la paura è lì, presente, e possiamo decidere di ignorarla o di combatterla, ma non se ne andrà.

Il problema è che questa paura non se ne va mai: anche se arriveremo a un punto in cui saremo soddisfatti di quello che abbiamo, la nostra memoria tenderà sempre a ricordarci tutte le volte in cui abbiamo preso una direzione invece di un’altra, determinando quello che allora era il nostro futuro e che oggi è il presente. A seconda della nostra personalità, ci domanderemo su cosa avremmo potuto fare di diverso o di migliore, oppure continueremo sulla nostra strada, cercando di non pensarci troppo, ma passato, presente e futuro continueranno a incrociarsi per tutta la durata della nostra esistenza, magari in momenti difficili o quando avremo “abbassato la guardia”.

Noi esseri umani non solo viviamo secondo questo tempo, ma lo teniamo costantemente tra le mani, rendendolo protagonista ogni volta di costruzioni diverse, di significati diversi. Il tempo può essere il nostro migliore amico quando consideriamo gli eventi della nostra vita come occasioni di crescita e cambiamento, oppure può trasformarsi in un tremendo nemico nel momento in cui cominciamo a rimpiangere amaramente alcune scelte, o quando non ci rassegniamo davanti a eventi tragici che sono avvenuti nelle nostre vite. Non è solo il futuro quindi a farci paura, ma anche il presente che anni fa era futuro, o il passato che si è ripresentato oggi.

 Giorgia La Fauci IV E TUR

giovedì 3 novembre 2016

La vita spiegata da un uomo che sta per morire

 
"Sto per morire e mi sto divertendo. E continuerò a divertirmi ogni giorno che mi resta da vivere, perché non c'è altro modo per farlo".
Questa è un celebre frase di Randy Pausch, nome completo Randolph Frederick Pausch. Egli è nato a Baltimora il 23 ottobre 1960 e morto a Chesapeake il 25 luglio 2008.
Si è laureato alla Brown University in informatica, che ha poi insegnato, oltre a design e interazione uomo-computer, presso la Carnegie Mellon University (CMU) di Pittsburgh, Pennsylvania.
La CMU celebrerà la sua memoria innalzando un ponte che collegherà i nuovi edifici della facoltà di Scienze Informatiche con il loro Centro per le Arti, a simboleggiare la strada che Pausch ha tracciato nel collegare le due discipline.
Inoltre è stata istituita una borsa di studio in Scienze Informatiche, per sole donne, a lui intitolata.

Nel 2006 gli è stato diagnosticato un cancro al pancreas metastatizzato, male che aveva già dovuto affrontare. Dopo interventi e fasi di chemioterapia, nel 2007 i medici gli hanno dato dai tre ai sei mesi di vita; è poi deceduto nell'estate del 2008.
In seguito ad una serie di lezioni in cui prestigiosi accademici hanno dibattuto sul tema di un ipotetico esposto finale sulla base della domanda "Quale massima provereste a comunicare al mondo, se sapeste di avere un'ultima possibilità per farlo?", Randy Pausch ha tenuto davvero, presso l'università in cui insegnava, la sua ultima lezione pubblica (titolo originale "The Last Lecture").


In tale discorso, che ebbe un grande successo, Pausch invitava le persone a realizzare i propri sogni d'infanzia, consapevole che non tutti si possano esaudire. Egli, ad esempio, desiderava giocare nella lega nazionale di football, ma non ci riuscì. Ha sempre sostenuto, però, che ogni esperienza nella vita sia importante, indipendentemente dal risultato finale.
Pausch sognava di progettare delle realizzazioni nel mondo magico della Walt Disney Imaginary, ma ciò che ottenne fu una lettera di rifiuto.
Successivamente diventò ingegnere di ricerca visuale nella sua facoltà, sviluppò le abilità per lavorare alla Disney ed entrò a far parte del gruppo di Immaginaria: lavorò, insieme ad altri colleghi, alla passeggiata sul tappeto magico di Aladino, impiegando quindici anni e vari tentativi.

Randy Pausch, durante il suo intervento, parlò dei suoi genitori, dei valori della famiglia e dei loro insegnamenti, come quello di dare più importanza alle persone che agli oggetti o mostrare gratitudine alle persone.
Il messaggio che vuole far passare Pausch, alla fine del suo discorso, è quello di vivere adeguatamente per ottenere buoni risultati nella vita, lottando per ciò che si desidera.
Nel 2007 è stato ospitato al "The Oprah Winfrey Show" per riproporre la sua ultima lezione di vita, su cui è stato elaborato anche un libro.

Questa, la vita spiegata da un uomo che stava per morire.
E' bene sapere, però, che Randy Pausch non ha tenuto questo discorso per le centinaia di persone presenti ad ascoltarlo in entrambe le situazioni, ma solo e unicamente per i suoi tre figli piccoli, affinché possano un giorno imparare qualcosa sulla vita e, specialmente, sul loro padre, un grande informatico, inventore, ma soprattutto un Grande Uomo.

Giulia Calabrese III E tur