domenica 27 gennaio 2013

27 gennaio: Giornata della Memoria

"È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze
perché esse sembrano assurde e inattuabili.
Le conservo ancora, nonostante tutto,
perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo"
Anne Frank


Istituito nel 2000, il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta «Arbeit macht frei» (Il lavoro rende liberi), apparve l’inferno. E il mondo vide allora per la prima volta da vicino quel che era successo, conobbe lo sterminio in tutta la sua realtà.

Il Giorno della Memoria è un atto di riconoscimento di questa storia atroce: come se tutti, in questo giorno, ci affacciassimo dai cancelli di Auschwitz, a riconoscervi il male che è stato. Auschwitz è il nome tedesco di Oswiecin, una cittadina situata nel sud della Polonia. Qui, a partire dalla metà del 1940, funzionò il più grande campo di sterminio di quella sofisticata «macchina» tedesca denominata «soluzione finale del problema ebraico». Auschwitz era una vera e propria metropoli della morte, composta da diversi campi - come Birkenau e Monowitz - ed estesa per chilometri. C’erano camere a gas e forni crematori, ma anche baracche dove i prigionieri lavoravano e soffrivano prima di venire avviati alla morte. Gli ebrei arrivavano in treni merci e, fatti scendere sulla cosiddetta «Judenrampe» (la rampa dei giudei) subivano una immediata selezione, che li portava quasi tutti direttamente alle «docce» (così i nazisti chiamavano le camere a gas). Solo ad Auschwitz sono stati uccisi quasi un milione e mezzo di ebrei. 
Questa tragedia viene ricordata con il nome di "Shoah", una parola ebraica, usata nell Bibbia, che significa «catastrofe, disastro». E' un termine che rende implicito che quanto è accaduto non ha alcun significato religioso, contrariamente a ciò che richiama il termine «olocausto», spesso usato, che rinvia a un’idea di sacrificio di espiazione. La Shoah è piuttosto un genocidio, ovvero un’azione criminale che, attraverso un complesso e preordinato insieme di azioni, è finalizzata alla distruzione di un gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso: un progetto d’eliminazione di massa che non ha precedenti, né paralleli. Nel gennaio del 1942 la conferenza di Wansee approvava, infatti, il piano di «soluzione finale» del cosiddetto problema ebraico, che prevedeva l’estinzione di questo popolo dalla faccia della terra. Lo sterminio degli ebrei non aveva una motivazione territoriale, non era determinato da ragioni espansionistiche o da una - per quanto deviata - strategia politica. Fu deciso solo sulla base dell'assurda convinzione che il popolo ebraico non meritasse di vivere: una forma di razzismo radicale che voleva rendere il mondo «Judenfrei» («ripulito» dagli ebrei). 

L’odio antisemita fu un motivo conduttore del nazismo. La Germania varò nel 1935 a Norimberga una legislazione antiebraica che sanciva l'emarginazione. Tre anni dopo l’Italia approvò anch’essa un complesso e aberrante sistema di «difesa della razza», rinchiudendo gli ebrei entro un rigido sistema di esclusione e separazione dal resto del paese. Ma questa terribile storia ha dei precedenti antichissimi. Prima dell’Emancipazione, ottenuta in Europa nella seconda metà dell'Ottocento, gli ebrei erano infatti vissuti per millenni come una minoranza appena tollerata, non di rado perseguitata e scacciata, e sempre relegata nei ghetti. Visti con diffidenza e odio, gli ebrei hanno sempre rappresentato il «diverso», la presenza estranea. Anche se da millenni vivono nei diversi Paesi che hanno raggiunto e di cui sentono l'appartenenza.
La Shoah è stata, come scrivevamo prima, un «genocidio». Purtroppo il mondo ne ha conosciuti tanti, e ancora troppi sono in corso sulla faccia della terra. Ovviamente non vi sono gerarchie del dolore e delle crudeltà subìte, ma mai, nella storia, s’è visto progettare a tavolino, con totale freddezza e determinazione, lo sterminio di un popolo. Studiando le possibili forme di eliminazione, le formule dei gas più letali ed «efficaci», allestendo i ghetti nelle città occupate, costruendo i campi, ideando una complessa logistica nei trasporti, e tanto altro. La soluzione finale non è stata solo un atto di inaudita violenza, ma soprattutto un progetto collettivo, un sistema di morte. La Giornata della Memoria non vuole quindi misconoscere gli altri genocidi di cui l'umanità è stata capace, è ovvio, ma vuole essere una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo è stato capace di questo. Non è solo la pietà per i morti ad animarla, ma la consapevolezza di quel che è accaduto. Che non deve più accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi, nella civile e illuminata Europa, milioni di persone hanno permesso che accadesse. La memoria della Shoah non appartiene, quindi, solo al popolo ebraico, a tutti coloro che l'hanno vissuta e ai loro discendenti, ma anche a una società civile capace di analizzare una parte triste e dolorosa della propria storia, in cui chi sa ascoltare un testimone, diviene esso stesso traduttore della memoria degli eventi storici, che si devono tramandare alle nuove generazioni. Per questo vogliamo proporre ai nostri lettori la testimonianza di una fra i sopravvissuti dei lager, Liliana Segre.



Nata nel 1930, nell'inverno del 1944 Liliana Segre fu costretta a salire su un camion che attraversava Milano per raggiungere i sotterranei della stazione Centrale e il binario 21, da dove partivano i treni per Auschwitz-Birkenau. Suo padre era con lei, ma non lo vedrà più. "Imparai in fretta - racconta la donna - che lager significava morte, fame, freddo, umiliazioni, torture, esperimenti". Nel campo la superstite lavorava in una fabbrica di munizioni. Una volta una compagna, una ragazza francese di nome Janine, si era ferita gravemente a una mano. Mentre, durante la selezione, ne veniva decretata la condanna a morte immediata, Liliana Segre confessa di non essersi voltata: "Avrei voluto farlo, solidarizzare con Janine. Non lo feci. E' un pensiero che mi tormenta sempre". La sopravvissuta ha anche descritto più volte la cosiddetta "marcia della morte", durante la quale i prigionieri furono costretti a seguire i nazisti in fuga. Fino a quando questi ultimi si tolsero la divisa per nascondersi tra la popolazione civile. Una SS gettò a terra la sua pistola. La donna pensò: "Prendo l'arma e la uccido". Poi si bloccò. "No, non la prendo". E in quel momento, dice la Segre, "ha vinto la vita".

Vogliamo infine ricordare Primo Levi, lo scrittore torinese che con la sua eccezionale testimonianza ha contribuito a descrivere e rivelare la barbarie dei campi di sterminio. I suoi libri sono un patrimonio di tutto il mondo, e uno degli strumenti di conoscenza di maggior valore. «Se capire è impossibile, conoscere è necessario», ha scritto. E’ pensando all'insegnamento di questa straordinaria persona, fondamentale testimone e divulgatore dell’odissea e della tragedia degli ebrei italiani, che vogliamo concludere il nostro ricordo riportando i celebri versi che aprono il suo libro più famoso, «Se questo è un uomo»:

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetelele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

 


La Redazione

8 commenti:

  1. Un post importante, ragazzi, con dei versi finali che non possono non toccarci. Molti complimenti.

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    1. Grazie, è davvero gentile! Vogliamo che nessuno dimentichi!

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  2. Perchè un popolo non percepisce il male che compie? Quale è la responsabilità del collettivo? Perche gli uomini non avvertono la gravità di percorsi collettivamente abominevoli? Il testo "La banalità del male" di Annah Harendt risponde... Ascoltate le considerazioni molto chiare di Umberto Galimberti...
    http://podcast.feltrinelli.it/podcast-file/galimberti_061016.mp3

    "egli sapeva, infatti, quello che ignorava la folla e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere e che forse sarebbe venuto il giorno in cui la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice"
    da "La Peste" di Albert Camus

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    1. Grazie, prof. Luciani: sono parole importanti e vere quelle ci propone!

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  3. Complimenti ragazzi...ottimo e interessante lavoro! a presto! Pippo R

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  4. Grazie, assessore Rossetti! Le sue parole gentili ci incoraggiano a continuare!

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  5. Grazie. Testimonianze da conservare con cura, da ascoltare in silenzio. Persone che vivono con ricordi terrificanti, coraggiose allora nell'affrontare l'orrore e coraggiose oggi nel raccontare.
    PER NON DIMENTICARE.

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    1. Grazie, Diego: hai capito perfettamente lo spirito del nostro post.

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