"Il ghetto di Terezin durante la seconda guerra mondiale
fu il maggiore campo di concentramento sul territorio dello Cecoslovacchia.
Fu costruito come campo di passaggio per tutti gli ebrei del cosiddetto
"Protettorato di Boemia e Moravia", istituito dai nazisti
dopo l'occupazione della Cecoslovacchia, prima che gli stessi venissero
deportati nei campi di sterminio nei territori orientali. Più
tardi vi furono deportati anche gli ebrei della Germania, Austria,
Olanda e Danimarca. Nel periodo in cui durò il ghetto - dal
24 novembre 1941 fino alla liberazione avvenuta l'8 maggio 1945 -
passarono per lo stesso 140.000 prigionieri. Proprio a Terezin perirono
circa 35.000 detenuti. Degli 87.000 prigionieri deportati a Est, dopo
la guerra fecero ritorno solo 3.097 persone.
Fra i prigionieri del ghetto di Terezin ci furono
all'incirca 15.000 bambini, compresi i neonati. Erano in prevalenza
bambini degli ebrei cechi, deportati a Terezin insieme ai genitori,
in un flusso continuo di trasporti fin dagli inizi dell'esistenza
del ghetto. La maggior parte di essi morì nel corso nel 1944
nelle camere a gas di Auschwitz. Dopo la guerra non ne ritornò
nemmeno un centinaio e di questi nessuno aveva meno di quattordici
anni. I bambini sopportarono il destino del campo di concentramento
assieme agli altri prigionieri di Terezin.
Dapprima i ragazzi e le ragazze che avevano meno
di dodici anni abitavano nei baraccamenti assieme alle donne; i ragazzi
più grandi erano con gli uomini. Tutti i bambini soffrirono
assieme agli altri le misere condizioni igieniche e abitative e la
fame. Soffrirono anche per il distacco dalle famiglie e per il fatto
di non poter vivere e divertirsi come bambini. Per un certo periodo
i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita
dei ragazzi facendo si che venissero concentrati nelle case per i
bambini.
La permanenza nel collettivo infantile alleviò
un tantino, specialmente sotto l'aspetto psichico, l'amara sorte dei
piccoli prigionieri. Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri
che riuscirono, nonostante le infinite difficoltà e nel quadro
di limitate possibilità, a organizzare per i bambini una vita
giornaliera e perfino l'insegnamento clandestino.
Sotto la guida degli
educatori i bambini frequentavano le lezioni e partecipavano a molte
iniziative culturali preparate dai detenuti. E non furono solo ascoltatori:
molti di essi divennero attivi partecipanti a questi avvenimenti,
fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per i
bambini. I bambini di Terezin scrivevano soprattutto poesie. Una parte
di questa eredità letteraria si è conservata.
L'educazione figurativa veniva organizzata nelle
case dei bambini secondo un piano preciso. Le ore di disegno erano
dirette dall'artista Friedl Dicker Brandejsovà.
Il complesso
dei disegni che si è riusciti a salvare e che fanno parte delle
collezioni del Museo statale ebraico di Praga, comprende circa 4.000
disegni. I loro autori sono per la gran parte bambini dai 10 ai 14
anni.
Utilizzavano i più vari tipi e formati della
pessima carta di guerra , ciò che potevano trovare, spesso
utilizzando i formulari già stampati di Terezin, le carte assorbenti.
Per il lavoro figurativo i sussidi a disposizione non bastavano e
i bambini dovevano prestarseli a vicenda.Sotto l'aspetto tematico i disegni si possono suddividere
in due gruppi fondamentali: da una parte di disegni a tematica infantile,
in cui i piccoli autori tornavano alla loro infanzia perduta. Disegnavano
giocattoli, piatti pieni di cose da mangiare, raffiguravano l'ambiente
della casa perduta.
Disegnavano e dipingevano prati pieni di fiori e
farfalle in fiore e farfalle in volo, motivi di fiaba, giochi di bambini.
La maggior parte della collezione comprende questo tipo di disegni.
Il secondo gruppo è formato da disegni con motivi del ghetto
di Terezin.
Raffigurano la cruda realtà in cui i bambini
erano costretti a vivere. Qui incontriamo i disegni delle caserme
di Terezin, dei blocchi e delle strade, dei baraccamenti di Terezin
con i letti a tre piani, i guardiani. Ma i bambini disegnavano anche
i malati, l'ospedale, il trasporto, il funerale o un'esecuzione.
Nonostante tutto però i piccoli di Terezin
credevano in un domani migliore. Espressero questa loro speranza in
alcuni disegni in cui hanno raffigurato il ritorno a casa. Sui disegni
c'è di solito la firma del bambino, talvolta la data di nascita
e di deportazione a Terezin e da Terezin. La data di deportazione
da Terezin è anche in genere l'ultima notizia del bambino.
Questo è tutto quanto sappiamo sugli autori dei disegni, ex
prigionieri bambini del ghetto nazista di Terezin. La stragrande maggioranza
dei bambini di Terezin morì. Ma è rimasto conservato
il loro lascito letterario e figurativo che a noi parla delle sofferenze
e delle speranze perdute".
Dr.
Anita Frankovà Direttore del museo ebraico di Praga
Ecco alcune poesie dei bimbi di Terezin
Nostalgia della casa
E’ più di un anno che vivo al ghetto,
nella nera città di Terezin,
e quando penso alla mia casa
so bene di che si tratta.
O mia piccola casa, mia casetta,
perché m’hanno strappato da te,
perché m’hanno portato nella desolazione,
nell’abisso di un nulla senza ritorno?
Oh, come vorrei tornare
a casa mia, fiore di primavera!
Quando vivevo tra le sue mura
io non sapevo quanto l’amavo!
Ora ricordo quei tempi d’oro:
presto ritornerò, ecco, già corro.
Per le strade girano i reclusi
e in ogni volto che incontri
tu vedi che cos’è questo ghetto,
la paura e la miseria.
Squallore e fame, queste è la vita
che noi viviamo quaggiù,
ma nessuno si deve avvedere:
la terra gira e i tempi cambieranno.
Che arrivi dunque quel giorno
in cui ci rivedremo, mia piccola casa!
Ma intanto prezioso mi sei
perché mi posso sognare di te.
1943 Anonimo
Voi, nuvole grigio acciaio
Voi, nuvole grigio acciaio, dal vento frustate,
che correte verso mete sconosciute
Voi, portatevi il quadro dell’azzurro cielo
Voi, portatevi il cinereo fumo
Voi, portatevi della lotta il risso spettro
Voi, difendeteci! Voi, che siete fatte solo di gas.
Veleggiate per i mondi, semplicemente, spazzate dai venti
come l’eterno viandante aspettando la morte
voglio una volta così come voi – i metri misurare
di lontananze future e non tornare più
Voi, cineree nuvole sull’orizzonte
Voi, siate speranza e sempiterno simbolo
Voi, che con il temporale il sole coprite
Vi incalza il tempo! E dietro a voi è il giorno!
Vedem, Hanu_ Hachenburg (1929 morto nel 1944)
Vi incalza il tempo! E dietro a voi è il giorno!
Vedem, Hanu_ Hachenburg (1929 morto nel 1944)
Lettera a papà
Mammina ha detto, che oggi debbo scriverti
ma ho avuto tempo, nuovi bimbi sono arrivati
dagli ultimi trasporti e giocare volevo
non mi accorgevo come fugge l’istante.
Mi sono sistemato, dormo sul materasso
per terra, per non cadere.
Almeno non c’è bisogno di farsi il letto
ed al mattino dalla finestra vedo il cielo.
Ho un po’ tossito, ma non voglio ammalarmi
così sono felice quando corro in cortile.
Oggi da noi una veglia si terrà
proprio come in estate al campo degli scout.
Canteremo canzoni conosciute
la signorina suonerà la fisarmonica.
So che ti meravigli di come stiamo bene
e che sicuramente ti rallegreresti di stare qui con me.
Qualcos’altro, papà: vieni qui presto
e sia più lieto il tuo volto!
Quando sei triste, mammina allora si dispiace
e dei suoi occhi mi manca lo splendore.
E hai promesso di portarmi i libri
che veramente da leggere non ho nulla,
per favore vieni domani prima che sia buio
del mio grazie puoi essere sicuro.
Ormai debbo finire. Da parte della mamma ti saluto
con impazienza aspetto il suono dei tuoi passi
nel corridoio. Prima che di nuovo con noi sarai
ti saluta e ti bacia il tuo fedele ragazzo.
Hajn
La farfalla
L’ultima, proprio l’ultima,
Così ricca, smagliante, splendidamente gialla.
Se le lacrime del sole potessero cantare contro una pietra bianca…
Quella, quella gialla
E' portata lievemente in alto.
Se ne è andata, ne sono certo, perché voleva dare un bacio d’addio al mondo.
Per sette settimane ho vissuto qui,
Rinchiuso dentro questo ghetto
Ma qui ho trovato la mia gente.
Mi chiamano le margherite
E le candele che splendono sull’abete bianco nel cortile.
Solo che io non ho visto mai un’altra farfalla.
Quella farfalla era l’ultima.
Le farfalle non vivono qui, nel ghetto.
Pavel Friedmann. 4-6-1942
L’ultima, proprio l’ultima,
Così ricca, smagliante, splendidamente gialla.
Se le lacrime del sole potessero cantare contro una pietra bianca…
Quella, quella gialla
E' portata lievemente in alto.
Se ne è andata, ne sono certo, perché voleva dare un bacio d’addio al mondo.
Per sette settimane ho vissuto qui,
Rinchiuso dentro questo ghetto
Ma qui ho trovato la mia gente.
Mi chiamano le margherite
E le candele che splendono sull’abete bianco nel cortile.
Solo che io non ho visto mai un’altra farfalla.
Quella farfalla era l’ultima.
Le farfalle non vivono qui, nel ghetto.
Pavel Friedmann. 4-6-1942
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