giovedì 23 gennaio 2014

Esiste ancora la schiavitù?

Esiste ancora la schiavitù?
Casi italiani di sfruttamento consenziente di manodopera a basso costo: il caso dei Cinesi di Prato

Cosa sarebbero disposti a fare gli orientali, soprattutto i cinesi, per godere di uno stile di vita migliore in Italia rispetto a quello che avevano in patria? Tutto, probabilmente è la risposta giusta. Nella città toscana di Prato, la presenza orientale è sentita maggiormente rispetto a molte altre città. Si ricordano principalmente le vittime decedute a causa dell' incendio della fabbrica, la cui morte da alcuni cittadini del posto è stata vista come una liberazione.
Riferendosi ad un commento piuttosto pungente, fatto dall' Assessore della Sicurezza di Prato, il quale ha posto su un piano inferiore la morte di queste persone rispetto al sempre più crescente numero dei cinesi che giungo nella città.
Si dedicavano al lavoro per 18 ore al giorno con vitto e alloggio all' interno della fabbrica. <<Non chiamateci schiavi>> afferma il fratello di una vittima.
Effettivamente, nessuno obbligava queste persone a sopportare così tanta fatica con un salario che non poteva dirsi basso. L' obiettivo principale era lavorare per 5-6 anni e mettersi in proprio, godendosi quella vita agiata e tranquilla che in Cina non riuscivano ad avere.
Uno dei primi a farsi avanti è Giorgio Silli, assessore all' integrazione Forza Italia, << Oltre che economico è diventato un problema sociale >>. Infatti, non tutta la colpa deve essere addossata ai lavoratori cinesi. Anche le imprese italiane di Prato dedite alla maglieria lavoravano in nero e successivamente consegnavano la merce ai cinesi. Quindi oltre che le persone provenienti dall'est del mondo, anche gli stessi pratesi si arricchivano.
Ma non parliamo solo delle imprese o di marche italiane coinvolte nello '' sfruttamento dei cinesi'', ma anche delle più famose sigle come Louis Vuitton, Chanel, Zara e Liu Jo che hanno  ammesso che i suoi fornitori sono per lo più cinesi, ma in regola, viene sottolineato dall'amministratore dell' impresa.
Nel 2007 la Finanza aveva trovato, durante un controllo alla fonderia di Poggio, gestita da cinesi, pelli stampate con le marche più conosciute. La moglie del proprietario della fonderia, che non comprende una parola di lingua italiana a differenza della coniuge, mette nero su bianco i documenti che attestano la regolarità del loro operato affidatogli da clienti italiani.
In precedenza si parlò anche di qualcosa che rasentava il razzismo, limitare l' operato e l'espansione del popolo cinese stesso sul territorio. Ma questo avrebbe giovato alla popolazione e all'economia pratese oppure avrebbe arrecato solo che danni?. Scoppia il dibattito. Le polemiche dilagano . Un consigliere comunale della cittadina trova conveniente per entrambe trovare un terreno di dialogo piuttosto che scontrarsi. Si può forse biasimare chi proviene  da paesi stranieri e voglia trovare una vita sicura e un futuro sereno? Evidentemente no, ma a quale prezzo?

Simona Munoz  classe 3Dt

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