mercoledì 23 maggio 2012

INCHIESTE- GIOVANNI FALCONE A 20 ANNI DALLA MORTE: Chi era Giovanni Falcone

“La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni“. (Giovanni Falcone)

Per ricordare i 20 anni trascorsi dalla morte di Giovanni Falcone, vi proponiamo una serie di articoli sull'argomento.  

II- Chi era Giovanni Falcone 

Nato nel 1939 a Palermo, dopo la laurea in giurisprudenza e il concorso in magistratura, nel 1964 Giovanni Falcone divenne sostituto procuratore di Trapani, dove rimase per 12 anni maturando un profondo amore per il settore penale del diritto: “Era la valutazione oggettiva dei fatti che mi affascinava”, disse lo stesso magistrato. All’indomani dell’attentato che costò la vita al giudice Cesare Terranova del 25 settembre 1979, Falcone cominciò a lavorare all’ufficio Istruzione, dove il Consigliere Chinnici gli affidò le indagini relative al caso Rosario Spatola, in un processo che investiva anche la criminalità statunitense.
Da qui Falcone cominciò a maturare la convinzione che “nel perseguire i reati e le attività di ordine mafioso occorresse avviare indagini patrimoniali e bancarie” oltre che ricostruire un quadro organico e una visione complessiva; elementi sino ad allora mancanti e che avevano portato solo a ingiustificabili assoluzioni. Quando nel luglio 1993 Chinnici fu ucciso, Antonino Caponnetto lo sostituì, con l’intento di creare le condizioni più favorevoli ai fini della risoluzioni dei casi legati alle indagini di mafia.
Si costituì così il cosiddetto pool antimafia, composto dallo stesso Caponnetto, Falcone, i giudici Di Lello e Guarnotta, e da Paolo Borsellino. Una svolta nella conduzione delle indagini volte non solo alla conoscenza di determinati fatti di mafia, ma anche alla individuazione della struttura di Cosa Nostra fu rappresentato dall’interrogatorio al “pentito” Tommaso Buscetta. Drammatiche vicende, come l’uccisione dei funzionari di polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, ebbero luogo prima di giungere alla storica sentenza di condanna nei confronti di Cosa Nostra emessa il 16 dicembre 1987 dalla Corte di assise di Palermo, avente come presidente Alfonso Giordano, dopo ventidue mesi di udienze e trentacinque giorni di riunione in camera di consiglio. L’ordinanza di rinvio a giudizio per i 475 imputati era stata depositata dall‘Ufficio istruzione agli inizi di novembre di due anni prima. 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare.
Nel dicembre 1986 Borsellino venne nominato Procuratore della Repubblica di Marsala, mentre Caponnetto si apprestava a lasciare il suo incarico per ragioni di salute e per limiti di età. Alla sua sostituzione furono candidati sia Falcone che Antonino Meli. Il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo una non certo poco accesa discussione, nominò Meli, motivandola come un’apparente scelta dettata dall’anzianità di servizio, ma che venne dai più considerato come un non troppo celato tentativo di rompere il pool investigativo.
Le previsioni di Paolo Borsellino furono reali: non solo il lavoro di Meli fu inteso a riportare i progressi fatti nei confronti di Cosa Nostra ad una decina di anni addietro, ma addirittura, dopo essersi mostrato in aperto contrasto con Falcone, sciolse ufficialmente il pool antimafia. Lo stesso Borsellino richiamò l’attenzione sul fatto che in tal modo Giovanni Falcone era diventato un più facile bersaglio per la mafia, dal momento che la sua perdita aveva dato adito alla convinzione che il magistrato non fosse così stimato come si pensava. Lo stesso Falcone riuscì poi a scampare ad un attentato il 21 giugno 1989, perpetrato dai sicari di Totò Riina e di altri sicari ritenuti mandanti.
Falcone dichiarò che probabilmente a volere la sua morte era qualcuno che intendeva bloccarne l’inchiesta sul riciclaggio in corso dichiarando a tal proposito: “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”. 
Una settimana dopo l’attentato il Consiglio superiore decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo. Nel frattempo, con l’inasprirsi dei rapporti con il Procuratore Giammanco, Falcone accolse l’invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, C. Martelli, che aveva assunto l’interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero, assumendosi l’onere di coordinare una vasta materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione internazionale.
Dal marzo del 1991 alla morte si aprì così un periodo caratterizzato da una attività intensa, volta a rendere più efficace l’azione della magistratura nella lotta contro il crimine, rinnovando il sistema attraverso la razionalizzazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento tra le varie procure. In questo senso, la costituzione di procure distrettuali facenti capo ai procuratori della Repubblica parve la soluzione più idonea. Ma nasceva l’esigenza di un coordinamento di livello nazionale.
Fu così istituita nel novembre del ’91 la Direzione nazionale antimafia, a proposito della quale Falcone dichiarò: “Io credo che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un organismo di supporto e di sostegno per l’attività investigativa che va svolta esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia”.
Relativamente a questi compiti, la sua candidatura fu ostacolata dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura. Il ruolo di “Superprocuratore” a cui stava lavorando avrebbe consentito di realizzare un potere di contrasto alle organizzazioni mafiose mai raggiunto sino ad allora. Ma si riaprirono le polemiche sul timore di una riduzione dell’autonomia della Magistratura ed una subordinazione di essa al potere politico. Ma il tempo non è bastato e il 23 maggio 1992, ore 17:58, ebbe luogo quella che il mondo conosce come la “strage di Capaci”. La morte, l’orrore, l’infamia. (vedi La strage di Capaci, parte I della nostra inchiesta)



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