La lezione che Doria definisce, a beneficio dei ragazzi «una ripetizione collettiva», comprende un periodo che va da metà dell'Ottocento a oggi. La protagonista è Genova: che cosa accade in questa città mentre si confronta con il resto del mondo di allora, come si trasforma, per quali ragioni. Negli anni della rivoluzione industriale che, proprio a metà Ottocento parte dall'Inghilterra , «Genova ha un ruolo diverso rispetto a altri territori di un'Italia appena diventata nazione: vede nascere fabbriche dove si lavora acciaio o ferro, ha un grande porto che le fornisce una serie di vantaggi». Uno è lo smercio e l'approvvigionamento del carbone, in quei tempi essenziale fonte di energia. Spiega Marco Doria: «il carbone serve per far funzionare i macchinari delle fabbriche, che sfornano locomotive, acciaio, e poi lamiere per le navi». Aggiunge: «Sono grandi industrie, quelle di Genova, danno lavoro a molti operai uomini perché sono industrie pesanti». Prive, quindi, della mano d'opera femminile e infantile, che segna le piccole aziende tessili del nord. L'industria pesante di Genova guida per mano il benessere della città e la prima guerra mondiale non lo ferma. La ragione è semplice: qui si producono armi e, dopo la guerra, nel 1933 nasce l'Iri, ente per la ricostruzione voluto dallo Stato, che diventa il primo azionista delle imprese genovesi. A Genova,intanto, l'andamento demografico segnala profondi cambiamenti. Nel 10861, nel territorio dell'attuale comune, da Nervi a Voltri gli abitanti sono 240.000, diventano 465 mila nel 1911 per toccare il record nel 1965: quota 848.000. Si incomincia a immaginare una città da un milione di abitanti, si comincia a costruire, tanto, troppo, in un terreno che viene violato nel suo essere fatto di colline e rivi sotterranei. Poi la crisi della classe operaia, le aree ex industriali vengono riconvertite e portano, comunque, posti di lavoro: a Campi, come alla Fiumara. Fino alla crisi attuale, prima arma per batterla: cacciare il mugugno.
Da Repubblica Web
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