mercoledì 4 giugno 2014

PRIMO LEVI e SE QUESTO E' UN UOMO (approfondimento per il programma di Quinta)

«Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace,
 che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no... »
(Primo Levi Se questo è un uomo)

Se questo è un uomo è un'opera memorialistica di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947. Rappresenta la coinvolgente ma meditata testimonianza di quanto vissuto dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz. Levi sopravvisse infatti alla deportazione nel campo di Monowitz - lager satellite del complesso di Auschwitz e sede dell'impianto Buna-Werke proprietà della I.G. Farben.
« Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no. »
Sono questi alcuni dei versi introduttivi del romanzo, ispirati all'antica preghiera dello Shemà, e ne spiegano il titolo.

Primo Levi


Primo Michele Levi (Torino, 31 luglio 1919 – Torino, 11 aprile 1987) è stato uno scrittore, partigiano, chimico e poeta italiano, autore di racconti, memorie, poesie e romanzi.
Partigiano antifascista, nel 1943 venne catturato dai nazifascisti e quindi nel febbraio dell'anno successivo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo. Scampato al lager, tornò avventurosamente in Italia, dove si dedicò con forte impegno al compito di raccontare le atrocità viste o subite. Il suo romanzo più famoso, sua opera d'esordio, Se questo è un uomo, che racconta le sue terribili esperienze nel campo di sterminio nazista, è considerato un classico della letteratura mondiale, inserendosi nel filone della memorialistica autobiografica e nel cosiddetto neorealismo.
Primo Levi venne trovato morto nell'aprile 1987 alla base della tromba delle scale di casa sua, a seguito di una caduta: rimane il dubbio se la caduta, che ne ha provocato la morte, sia dovuta a cause accidentali o se sia stato un suicidio.
Nasce a Torino il 31 luglio 1919 da Ester Luzzati (1895 – 1991) e Cesare Levi (1878 – 1942), appartenenti a famiglia di origini ebraiche proveniente dalla Provenza e dalla Spagna, Primo Levi visse un'infanzia turbata da alcune incomprensioni con il padre, dovute a una certa differenza d'età e di carattere. Nel 1934 si iscrisse al Liceo classico Massimo d'Azeglio di Torino, noto per aver ospitato docenti illustri e oppositori del fascismo come Augusto Monti, Franco Antonicelli, Umberto Cosmo, Norberto Bobbio, Cesare Pavese, Massimo Mila, Leone Ginzburg e molti altri. Questi insegnanti furono però allontanati e il clima politico lì presente si raffreddò.
Nel 1937 si diplomò al liceo classico e si iscrisse al corso di laurea in chimica presso l'Università di Torino. Nel novembre del 1938 entrarono in vigore in Italia le leggi razziali, dopo che in Germania l'antisemitismo si era manifestato attraverso atti di violenza e sopraffazione. Tali leggi avevano introdotto gravi discriminazioni ai danni dei cittadini italiani che il regime fascista considerava "di razza ebraica". Le leggi razziali ebbero un determinante influsso indiretto sul suo percorso universitario ed intellettuale.
« Nella mia famiglia si accettava, con qualche insofferenza, il fascismo. Mio padre si era iscritto al partito di malavoglia ma si era pur messo la camicia nera. Ed io fui balilla e poi avanguardista. Potrei dire che le leggi razziali restituirono a me, come ad altri, il libero arbitrio. »
Le leggi razziali precludevano l'accesso allo studio universitario agli ebrei, ma concedevano di terminare gli studi a quelli che li avessero già intrapresi. Levi era in regola con gli esami, ma, a causa delle leggi razziali, aveva difficoltà a trovare un relatore per la sua tesi, finché nel 1941 si laureò con lode, con una tesi in chimica. Il diploma di laurea riporta la precisazione «di razza ebraica». In quel periodo suo padre si ammalò di tumore. Le conseguenti difficoltà economiche e le leggi razziali resero affannosa la ricerca di un impiego. Venne assunto in maniera semi illegale da un'impresa, con il compito di trovare un metodo economicamente conveniente per estrarre le tracce di nichel contenute nel materiale di scarto di una cava d'amianto (l'amiantifera di Balangero, anche se Levi, nel suo racconto Nichel, non la nomina mai). A questo periodo risalgono i primi esperimenti letterari, due brevi racconti pubblicati molti anni dopo all'interno della raccolta Il sistema periodico.
Nel 1942 si trasferì a Milano, avendo trovato un impiego migliore presso una fabbrica svizzera di medicinali. Qui Levi, assieme ad alcuni amici, venne in contatto con ambienti antifascisti militanti ed entrò nel Partito d'Azione clandestino.
Dopo l'8 settembre 1943 si rifugiò in montagna unendosi a un nucleo partigiano operante in Val d'Aosta. Il periodo di militanza fra i partigiani del Colle di Joux è stato quello che Levi stesso ha preferito ricordare di meno. La sua reticenza sull'esperienza partigiana è stata oggetto di due saggi usciti a pochi mesi di distanza nel 2013 e una dura polemica giornalistica. Poco dopo, il 13 dicembre 1943, venne arrestato dalla milizia fascista nel villaggio di Amay, sul versante verso Saint-Vincent del Col de Joux (tra Saint-Vincent e Brusson). Interrogato, preferì dichiararsi ebreo piuttosto che partigiano e per questo fu trasferito nel campo di Fossoli insieme al suo generale Luigi Casaburi presso Carpi, in provincia di Modena.
Il 22 febbraio 1944, Levi ed altri 650 ebrei, donne e uomini, vennero stipati su un treno merci (oltre 50 individui per vagone) e destinati al campo di sterminio di Auschwitz in Polonia. Levi fu qui registrato (con il numero 174.517) e subito condotto al campo di Buna-Monowitz, allora conosciuto come Auschwitz III, dove rimase fino alla liberazione da parte dell'Armata Rossa, avvenuta il 27 gennaio 1945. Fu uno dei venti sopravvissuti dei 650 ebrei italiani arrivati con lui al campo.

Levi attribuì la propria sopravvivenza a una serie di incontri e coincidenze fortunate. Innanzitutto, leggendo pubblicazioni scientifiche durante i suoi studi, aveva appreso un tedesco elementare. Di rilevante importanza fu parimenti l'incontro con Lorenzo Perrone, un civile occupato come muratore, il quale, esponendosi a un grande rischio personale, gli fece avere regolarmente del cibo. In un secondo momento, verso la fine del 1944, venne esaminato da una commissione di selezione, incaricata di reclutare chimici per la Buna, una fabbrica per la produzione di gomma sintetica di proprietà del colosso chimico tedesco IG Farben. Insieme ad altri due prigionieri (entrambi poi deceduti durante la marcia di evacuazione) ottenne un posto presso il laboratorio della Buna, dove svolse mansioni meno faticose ed ebbe la possibilità di contrabbandare materiale con il quale effettuare transazioni per ottenere cibo. Nel far ciò si avvalse della collaborazione di un altro prigioniero a cui era molto legato, Alberto Dalla Volta, anch'egli italiano. Infine, nel gennaio del 1945, immediatamente prima della liberazione del campo da parte dell'Armata Rossa, si ammalò di scarlattina e venne ricoverato nel Ka-be (dal tedesco Krankenbau, in italiano "infermeria del campo"), scampando così fortunosamente alla marcia di evacuazione da Auschwitz (nella quale sarebbe morto Alberto, ma non per la scarlattina, malattia che avrebbe già contratto in età infantile).
Il viaggio di ritorno in Italia, narrato nel romanzo La tregua, sarà lungo e travagliato. Si protrarrà fino ad ottobre, attraverso Polonia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Ungheria, Germania ed Austria. L'esperienza nel campo di concentramento lo sconvolse profondamente,fisicamente e psichicamente. Giunto a Torino, si riprese fisicamente e riallacciò i contatti con i familiari e gli amici superstiti dell'olocausto. Mosso dalla prorompente necessità di testimoniare l'incubo vissuto nel lager, si gettò febbrilmente nella scrittura di un romanzo che fosse testimonianza della sua esperienza ad Auschwitz e che verrà intitolato Se questo è un uomo. In questo periodo conobbe Lucia Morpurgo (1920-2009), che diventò sua moglie. Levi ebbe poi ad affermare che questo incontro sarebbe stato fondamentale per la stesura di Se questo è un uomo, permettendogli di passare dalla prospettiva dolorosa di un convalescente a quella descritta dall'autore nel libro Il sistema periodico con queste parole: "un'opera di chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe, e s'industria di rispondere ai perché". Nel 1947 terminò il manoscritto, ma molti editori, tra cui Einaudi, lo rifiutarono. Venne pubblicato da un piccolo editore, De Silva. Nonostante la buona accoglienza della critica, inclusa una recensione favorevole di Italo Calvino su L'Unità, incontrò uno scarso successo di vendita. Delle 2500 copie stampate, se ne vendettero solo 1500, soprattutto a Torino.

In questo periodo Levi abbandonò il mondo della letteratura e si dedicò alla professione di chimico. Dopo una breve esperienza come lavoratore autonomo con un amico, trovò impiego presso la Siva, una ditta di produzione di vernici di Settimo Torinese, di cui, in seguito, assumerà la direzione fino al pensionamento.
Nel 1956, a una mostra sulla deportazione a Torino, incontrò uno straordinario riscontro di pubblico. Riprese così fiducia nei propri mezzi espressivi. Partecipò a numerosi incontri pubblici (soprattutto nelle scuole) e ripropose Se questo è un uomo ad Einaudi, che decise di pubblicarlo. Questa nuova edizione incontrò un successo immediato.
Nel 1959 collaborò alle traduzioni delle sue opere in inglese e in tedesco. Quest'ultima traduzione era particolarmente significativa per Levi. Uno degli obiettivi che si era proposto scrivendo il suo romanzo era far comprendere al popolo tedesco che cosa era stato fatto in suo nome e di fargliene accettare una responsabilità almeno parziale.
Incoraggiato dal successo internazionale, nel 1962, quattordici anni dopo la stesura di Se questo è un uomo, incominciò a lavorare a un nuovo romanzo sul viaggio di ritorno da Auschwitz. Questo romanzo venne intitolato La tregua e vinse la prima edizione del Premio Campiello (1963).
Nella sua produzione letteraria successiva, prendendo spunto dalle proprie esperienze come chimico, l'osservazione della natura e l'impatto della scienza e della tecnica sulla quotidianità diventarono lo spunto per originali situazioni narrative. Nel 1975 decise di andare in pensione e di dedicarsi a tempo pieno alla attività di scrittore. Nello stesso anno uscì la raccolta di racconti Il sistema periodico, in cui episodi autobiografici e racconti di fantasia vengono associati ciascuno ad un elemento chimico. L'opera gli valse il Premio Prato per la Resistenza. Il 19 ottobre 2006 la Royal Institution del Regno Unito scelse quest'opera come il miglior libro di scienza mai scritto.
Nel 1978 pubblicò La chiave a stella. Questo romanzo, concepito durante i suoi numerosi soggiorni lavorativi, rappresenta un omaggio al lavoro creativo ed in particolare a quel gran numero di tecnici italiani che hanno lavorato in giro per il mondo a seguito dei grandi progetti di ingegneria civile portati avanti dall'industria italiana dell'epoca (anni sessanta e anni settanta). Nel luglio del 1978 La chiave a stella vince il premio Strega.
Nel 1982 tornò al tema della Seconda guerra mondiale, raccontando in Se non ora, quando? le avventure picaresche di un gruppo di partigiani ebrei di origini polacche e russe, che tendono imboscate ai tedeschi sul fronte orientale e giungono ad attraversare i territori del Reich sconfitto, sino a Milano, da dove alcuni prenderanno la via della Palestina per partecipare alla costruzione dello stato di Israele.
Nel saggio I sommersi e i salvati (1986) tornò per l'ultima volta sul tema dell'Olocausto, cercando di analizzare con distacco la sua esperienza, chiedendosi perché le persone si siano comportate in quel modo ad Auschwitz e perché alcuni siano sopravvissuti e altri no. In particolare estese la sua analisi a quella che definì "zona grigia", rappresentata da quegli ebrei che si erano prestati a lavorare per i tedeschi controllando gli altri prigionieri nei campi di concentramento.

L'11 aprile del 1987 alle 10:20 del mattino Primo Levi morì cadendo dalla tromba delle scale della propria casa di Torino in corso re Umberto 75, dando adito al sospetto che si trattasse di un suicidio. Questa ipotesi appare avvalorata dalla difficile situazione personale di Levi, che si era fatto carico della madre e della suocera malate. Il pensiero ed il ricordo del lager avrebbero, inoltre, continuato a tormentare Levi anche decenni dopo la liberazione, sicché egli sarebbe in un qualche modo una vittima ritardata della detenzione ad Auschwitz. Il suicidio di Levi rimane comunque un'ipotesi contestata da molti, poiché lo scrittore non aveva dimostrato in alcun modo l'intenzione di uccidersi e anzi aveva dei piani in corso per l'immediato futuro.
Primo Levi non era religioso: «... io, il non credente, ed ancor meno credente dopo la stagione di Auschwitz...» e radicalizzò il suo ateismo dopo la terribile esperienza del lager: «C'è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.», dichiarò in un'intervista.
Le spoglie dello scrittore riposano presso il campo israelitico del Cimitero monumentale di Torino.

Lo stile letterario di Primo Levi, come emerge dalle sue maggiori opere, è uno stile di stampo realista-descrittivo. Si tratta infatti di una narrazione asciutta, sintetica ed esauriente quanto basta per comprendere i sentimenti e lo sfondo sociale dell'ambientazione dell'opera: stile che ben si adatta al vasto pubblico a cui Levi intende rivolgersi, in special modo nella trattazione di un argomento di estrema importanza, come quello della prigionia in un Lager.
Esistono comunque differenze significative tra le varie opere, soprattutto Se questo è un uomo. L'opera prima fu infatti composta molto rapidamente, quasi con furia, sentendo incalzare la necessità di testimoniare il dramma, ancora molto recente all'epoca dei fatti; per le opere successive, a partire da La tregua, Levi compone i propri libri in modo molto più sistematico, dandosi precise scadenze e scrivendo praticamente in orari prestabiliti. Questo dato composito è chiaramente rilevabile durante la lettura: se lo stile di Se questo è un uomo tradisce tutta l'urgenza della testimonianza immediata del sopravvissuto, ne La tregua si riflette un'emozione differente.

Se questo è un uomo - Scrittura e pubblicazione

Il testo venne scritto non per muovere accuse ai colpevoli, ma come testimonianza di un avvenimento storico e tragico. Lo stesso Levi diceva testualmente che il libro era nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi ed è scritto per soddisfare questo bisogno. L'opera, durante la sua genesi, fu comunque oggetto di rielaborazione. Al primo impulso da parte di Levi, quello di testimoniare l'accaduto, seguì un secondo, mirato ad elaborare l'esperienza vissuta, il che avvenne grazie ai tentativi di spiegare in qualche modo l'incredibile verità dei lager nazisti.
Il destino del libro doveva rivelarsi in un qualche modo imprevedibile, paragonabile da questo punto di vista alla sorte umana con i suoi più impensati alti e bassi: infatti il manoscritto fu rifiutato da Einaudi in due occasioni, nel 1947 e nel 1952, visto favorevolmente da Natalia Ginzburg ma non da Cesare Pavese[4]. Venne dato alle stampe dalla casa editrice Francesco De Silva, che fece uscire però solo duemilacinquecento copie. Il successo e la notorietà del libro si fecero attendere fino al 1958, anno in cui l'opera veniva ripubblicata proprio da Einaudi.
Anche dopo la pubblicazione, la scrittura dell'esperienza personale vissuta alla fine della guerra rimase perennemente un lavoro in corso. Successivamente a Se questo è un uomo venne ad esempio pubblicato il romanzo La tregua, che descrive l'interminabile viaggio nei paesi dell'est in cui era stato coinvolto Levi dopo la liberazione del campo. Quest'opera deve il suo titolo al fatto di rappresentare una fase in cui la mente del protagonista resta in parte libera dal pensiero assillante della prigionia. Un pensiero che comunque lo avrebbe riassalito al momento di ritornare a casa e anche negli anni successivi. Nel 1986, infatti, venne alla luce il saggio I sommersi e i salvati, che tornava a trattare la tematica del lager.

Tematiche

Dopo i versi introduttivi, la prefazione spiega quanto importante sia stato, per l'interessato, il fatto di essere stato internato solo nel 1944, periodo in cui le condizioni dei prigionieri erano ormai migliorate. L'autore precisa di non aver inventato nessuno degli avvenimenti narrati.
È essenziale, da parte dell'autore, lo scopo di alternare la testimonianza del vissuto ad altri scorci in cui egli assume la prospettiva dello scienziato (si ricorda che Primo Levi era un chimico e che svolse queste mansioni anche nel campo di concentramento): la società dei detenuti funziona secondo regole complesse ed incomprensibili per chi vi è appena arrivato, ma senz'altro oggetto di analisi da parte del narratore.
Ricoprono tra l'altro un ruolo di primo piano le descrizioni dei rapporti sociali: Levi si concentra spesso sulla psicologia e sulle dinamiche di gruppo dei detenuti, indicando come diverse regole della civilizzazione umana vengano, per cause di forza maggiore, messe a tacere. Hanno del resto un ruolo di primo piano le doti di carattere, gli stratagemmi ed i sotterfugi necessari per appartenere al gruppo dei privilegiati che sopravviveranno, se non all'intera durata della detenzione, almeno al prossimo periodo di crisi e terrore.

Riassunto

L'enunciazione di eventi e situazioni segue tendenzialmente l'ordine cronologico, nonostante vi siano numerose eccezioni.
  • Il primo capitolo (Il viaggio) spiega la situazione degli ebrei italiani deportati a Fossoli nel campo di transito. Il trasferimento in Germania è comunque imminente e la maggior parte dei prigionieri sa di andare incontro alla morte quasi sicura. Il treno fa tappa al Brennero, a Salisburgo, a Vienna e ancora in Polonia. Nella carrozza ferroviaria i deportati vengono trasportati in condizioni disumane, sicché parecchi di loro muoiono.
  • Nel secondo e nel terzo capitolo (Sul fondo ed Iniziazione) vengono descritte le prime scene nel campo di concentramento. A ciascuno dei prigionieri, chiamati in tedesco Häftling, viene assegnato un numero che costituisce la loro nuova identità con decorrenza immediata. Si tratta di una identità carica peraltro di significati fin dall'inizio. Al suo arrivo, il protagonista ignora ancora che grazie a quelle cifre è possibile stabilire provenienza e grado di anzianità dei vari prigionieri. Fin troppo in fretta si apprendono le prime leggi del campo, come quella di non fare domande, di fingere di capire tutto, di saper apprezzare il valore di oggetti essenziali alla sopravvivenza come le scarpe ed il cucchiaio. Primo Levi tiene molto a spiegare il variegato panorama linguistico delle varie comunità etniche, compreso l'uso di termini specifici tedeschi in tutte le lingue. A proposito di questo paesaggio linguistico variegato, Levi propone un paragone tra il lager e la torre di Babele.
  • Ka-Be è il nome abbreviato dell'infermeria (baracca detta Krankenbau) che dà il titolo al quarto capitolo. In seguito ad un problema al piede, Levi viene assegnato a questo blocco, fatto che gli concede una sorta di tregua per venti giorni, ma non di vera e propria speranza. Come dovrà capire, il numero che il protagonista porta tatuato sul braccio si trova di poco al di sotto di duecentomila: dato che il campo ospita poche decine di migliaia di persone, è logico che centinaia di migliaia di persone sono state uccise o sono morte di stenti prima ancora della deportazione del protagonista. Del resto, nel campo regna qualcosa come la certezza matematica che la maggior parte dei vivi è destinata a morire a medio termine. È questo quanto un gruppo di prigionieri ebrei fa capire a Levi, non senza fargli sentire un certo disprezzo. Questo atteggiamento ostile è in parte dovuto al fatto che il protagonista - essendo italiano - non parla la loro lingua, lo yiddish.
  • Il quinto capitolo, Le nostre notti, contiene tra l'altro una celebre pagina in cui il protagonista illustra il suo dormiveglia, una situazione nella quale i confini tra realtà e sogno si dissolvono. Si tratta dunque di un sonno che non regalerà mai il necessario riposo. Ogni notte infatti Levi, come gli altri internati, è periodicamente assalito da due incubi ricorrenti: Il primo riporta l'autore a casa, ignorato dai suoi amici e familiari mentre racconta le atrocità subite nel lager; il secondo illude invece Levi d'aver davanti a sé del cibo che poi scompare repentinamente ogni qual volta prova a mangiarlo.
  • Il lavoro, sesto capitolo, illustra tra l'altro la scarsa predisposizione di Levi ai lavori pesanti: dovendo trasportare carichi di grosse dimensioni, il protagonista rischia di morire estenuato. Ciononostante, Levi approfitta della solidarietà del compagno di origini francesi Resnyk, il quale lo aiuta generosamente nei compiti più gravosi.
  • Il settimo capitolo, Una buona giornata, presenta una nuova fase di tregua nella vita del lager. Il fatto di poter mangiare a sazietà costituisce un evento eccezionale per i prigionieri, dato che le dosi di cibo previste dai regolamenti non coprono il fabbisogno energetico giornaliero. La parvenza di un minimo di normalità, d'altro canto, favorisce il riemergere della tristezza, altrimenti rimossa durante le giornate dominate dalle percosse, dalla fame e dalla spossatezza.
  • Il titolo dell'ottavo capitolo, Al di qua del bene e del male, allude all'opera Al di là del bene e del male di Nietzsche. Al contrario dell'eroe nietzschiano, il prigioniero del lager viene presentato nella sua nullità. Questo capitolo illustra inoltre il significato e le ripercussioni di un evento apparentemente banale come il cambio della biancheria (il cosiddetto Wäschetauschen). Infatti, sul mercato del lager le camicie dei prigionieri vengono utilizzate come merce di scambio da cui poter ricavare della stoffa: nel campo si è sviluppato un mercato nero, una sorta di borsa soggetta a regole descrivibili con una certa precisione. Il valore di scambio, quindi il prezzo di cose e materiali è soggetto a sbalzi e ad improvvise cadute, in funzione della variabile disponibilità dei beni e dei capricci del mercato: oltre ai meccanismi di domanda e offerta, giocano un ruolo molto importante le manovre di speculazione messe in atto dai prigionieri. Un imminente cambio della biancheria, ad esempio, comporta un crollo di valore delle camicie sul mercato nero non appena reso noto.
  • Uno dei capitoli di maggiore importanza è senza dubbio il nono, dedicato a i sommersi ed i salvati (il titolo di questo capitolo verrà ripreso per battezzare l'importante saggio del 1986): Levi spiega come questa distinzione (tra candidati alla sopravvivenza o alla morte) sia per lui di importanza assai maggiore rispetto a quelle di bene e di male, categorie praticamente impossibili da definire in maniera obiettiva. Levi passa quindi ad illustrare le vicende di alcuni detenuti a mo' di exempla: come mostrano le brevi note biografiche dedicate a questi internati, il miglior modo per sopravvivere è senza dubbio quello di conquistarsi un posto al sole facendosi incaricare di mansioni speciali, diventando ad esempio un cosiddetto Kapo. La maniera esemplare per far parte dei votati alla morte sicura è invece quella di adattarsi alle regole ufficiali del campo, per poi indebolirsi lentamente a causa dell'esaurimento, della denutrizione e delle malattie.
  • Esame di chimica: in seguito a questa prova sostenuta presso il dottor Pannwitz, Levi viene ammesso alle mansioni di laboratorio. È questo uno dei principali fattori a garantirne la sopravvivenza nel lager, sottraendolo al destino dei cosiddetti Muselmänner, cioè dei votati alla morte certa.
  • L'undicesimo capitolo, Il canto di Ulisse, è ispirato al ventiseiesimo canto dell'Inferno, in cui viene narrata la vicenda umana di Ulisse, guidato - come Dante e come Levi - dalla sete di sapere: il protagonista cerca di ricordarsi i versi danteschi e di tradurli ad un suo compagno di prigionia.
  • I fatti dell'estate: questo capitolo si riferisce al tracollo militare dei nazisti, fatto quindi noto ai prigionieri. Neanche alla fine della guerra, dopo lo sbarco in Normandia e la gigantesca controffensiva sovietica in Russia si sviluppa tra i prigionieri una speranza vera e propria: i fronti alleati sono infatti lontanissimi, mentre la necessità di risolvere gli impellenti problemi della sopravvivenza quotidiana continua ad essere onnipresente.
  • Ottobre 1944 (tredicesimo capitolo) illustra la sopravvivenza di Levi ad una retata di selezione da parte dei nazisti, mentre il capitolo Kraus (quattordicesimo) propone il ritratto di un prigioniero del lager.
  • Die drei Leute vom Labor (le tre persone del laboratorio) descrive alcune impressioni sulla nuova vita da chimico del protagonista, senza tuttavia approfondire le funzioni specifiche del laboratorio, né le mansioni svolte dal narratore. La presenza di tre donne crea un effetto estraniante.
  • Nel capitolo L'ultimo viene rappresentata la figura amica di Alberto, il bresciano Alberto Dalla Volta, già nota dai capitoli precedenti. Costituisce di una specie di alter ego per il protagonista. Si tratta di un personaggio sempre solidale ed estremamente ricco di inventiva e diplomazia, nonché di una figura assai amata nel campo.
  • Scritto sotto forma di diario, Storia di dieci giorni costituisce l'epilogo della vicenda. Siccome l'arrivo dell'Armata Rossa è oramai imminente, i tedeschi decidono di evacuare il campo facendo partire da Auschwitz almeno i prigionieri sani. Dato che si è ammalato di scarlattina, Levi è ricoverato e viene escluso dal trasferimento, senza sapere che però quella spedizione finirà per portare i prigionieri verso la fine (si tratta della marcia della morte ed è questa la sorte riservata ad Alberto). Sopravviveranno invece diversi dei pazienti che, come Levi, rimangono nel campo. Il protagonista e altri due prigionieri si daranno da fare per aiutare gli altri malati della loro baracca mentre aspettano l'arrivo dei sovietici, avvenuto il 27 gennaio 1945.

Lettura

Le riflessioni dell'autore permettono al lettore di immedesimarsi con il protagonista ed affiancarlo idealmente nella sua esperienza. Per questo, la lettura del libro è un'esperienza intensa per il lettore. Si tratta inoltre di una esperienza che porta alla riflessione e che non di rado fa sorgere delle domande, per cui Levi ne pubblicò una parte tentando di rispondere.
Per esempio, il lettore sarà spesso stupito dal fatto che nel libro si stenta a trovare un giudizio morale negativo nei confronti di chicchessia. Si cercherà quindi invano una qualche espressione di rancore nei confronti del nazismo. La mancanza di sentimenti del genere fece parlare di un modo di scrivere classico, dunque essenziale e composto, una scrittura che pone Levi tra i grandi della letteratura. Levi spiegò in seguito ai lettori che era sua intenzione quella di mantenere un approccio razionale, assumendo il ruolo del testimone e lasciando al lettore il compito di formarsi un'opinione sull'accaduto.
Nondimeno, come riportato nell'appendice al romanzo, a Levi venne chiesta una spiegazione sull'origine dell'antisemitismo nazista. Questa, secondo l'autore, andava inquadrata in un fenomeno più ampio, quello dell'ostilità sviluppata nei confronti dei diversi. Il lettore intuisce quindi che la scrittura del mondo dei lager può indicare, in qualche modo, un qualcosa di più ampio che può arrivare ad abbracciare l'intero mondo della condizione e della natura umana, tematica cui accennava lo stesso Levi parlando del campi di concentramento come fonte di sapere sugli uomini e sul mondo, comparabile addirittura ad un gigantesco, irripetibile esperimento.

La metafora dell'Inferno dantesco

Come accennato a proposito del capitolo dedicato ad Ulisse, si incontrano ripetutamente nel libro riferimenti alla Divina Commedia: la detenzione in un lager viene in qualche modo visto come viaggio nell'oltretomba, in un mondo dal quale si crede di non poter più uscire, similmente a quanto accade nell'Inferno dantesco. Si propongono in quanto segue alcuni dei numerosi riferimenti intertestuali all'opera di Dante:
  • Il viaggio verso il lager può essere visto come il trasporto delle anime da traghettare verso l'inferno attraversando il fiume Acheronte, laddove un soldato del campo copre un ruolo simile a quello del tremendo nocchiero Caronte all'arrivo ad Auschwitz. A differenza di Caronte, il soldato nazista si esprime con un tono grottescamente cortese per farsi consegnare gli oggetti di valore dei prigionieri.
  • La tristemente nota scritta sul portone di accesso (Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi) viene proposta come una riscrittura dell'incipit del terzo canto dell'Inferno: nella cantica dantesca, la frase riferita alla porta di ingresso (Per me si va nella città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente) indica che attraverso quell'ingresso si accede al mondo dei dannati.
  • L'infermeria, detta Ka-Be, viene paragonata al limbo, un mondo escluso dalle categorie del bene e del male, privo di punizioni vere e proprie e, in un certo senso, un momento di tregua durante l'avventura del lager nazista.
  • Al momento di sostenere l'esame di chimica per essere trasferito in laboratorio, il protagonista si imbatte nel dottor Pannwitz, che rassomiglia in qualche modo ad un giudice infernale. Come il Minosse dantesco (che assegna a ciascuna delle anime dannate un determinato cerchio dell'inferno e quindi una punizione), il dottore ha la facoltà di decidere delle mansioni e del destino altrui. Secondo la narrazione di Levi, il Pannwitz siede formidabilmente: si tratta di un riferimento nascosto al quinto Canto dell'Inferno (Stavvi Minòs orribilmente e ringhia, v. 4).
  • Nel capitolo Sul fondo, si indica lo stato di brutale sovvertimento dei valori morali all'interno del lager con i celebri versi danteschi: Qui non ha luogo il Santo Volto! / Qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
Linguaggio dei detenuti di Auschwitz

AuschwitzCampEntrance.jpg
Di seguito sono riportati alcuni termini utilizzati dai deportati del campo di Auschwitz e utilizzati nel romanzo.

  • Block («blocco» o «baracca»): identificava le unità abitative dove alloggiavano i deportati, in condizioni di inimmaginabile sovraffollamento, costringendoli a dormire in 3-4 per ogni pagliericcio disponibile. 
  • Blocksperre («clausura in baracca»): un ordine che imponeva a tutti i prigionieri di rientrare nei loro blocchi. Quest'ordine veniva impartito comunemente in vista di una selektion per evitare che gli internati vi si sottraessero. 
  • Häftling («prigioniero»): termine che definiva l'internato. Spesso era utilizzato in associazione con il numero di matricola tatuato sull'avambraccio sinistro per identificare uno specifico prigioniero. Ad esempio, Primo Levi era Häftling numero 174.517. 
  • Ka-Be (abbr. di Krankenbau): l'infermeria del lager. Kapo: termine generico che indicava un detenuto che ricopriva una carica all'interno del campo e che spesso esercitava il comando su altri deportati. 
  • Kommando: squadra di lavoro. 
  • Muselmann («musulmano»), pl. Muselmänner: termine di origine ignota che indicava un prigioniero sfinito dal lavoro e dalla fame, senza più alcuna volontà di sopravvivenza, destinato alla selezione e quindi alla morte. 
  • Sonderkommando: kommando, composto da prigionieri segregati, che lavorava presso i forni crematori e aveva l'obbligo di collaborare alle operazioni di smaltimento dei cadaveri.

2 commenti:

  1. Grazie... per questo lavoro, sintetico ma molto esaustivo

    RispondiElimina
  2. Grazie... Questo lavoro è sintetico ma molto esaustivo

    RispondiElimina

Scrivi qui il tuo commento: sarà pubblicato dopo la moderazione.