Ne è protagonista il padre Giuseppe: la casa riecheggia sia
delle sue urla che delle sue risate. Egli è tenero e dispotico al tempo
stesso: non tollera, a tavola, che s’intinga il pane nel sugo (gesti
chiamati potacci o sbrodeghezzi); e mal sopporta i modi goffi e impacciati, da lui inesorabilmente definiti negrigure.
«Il divertimento che il diavolo dà ai suoi figli», secondo
la madre Lidia, sono le gite in montagna che il marito "infligge" a
tutta la famiglia. Queste sono precedute dai preparativi estenuanti, e
innumerevoli sono i divieti, talvolta davvero risibili, imposti ai
figli.
Tentare anche solo un breve riassunto del Lessico
non è semplice: è una storia che ruota su se stessa, proponendo, a brevi
intervalli, lo stesso frasario, che a mano a mano conquista il lettore,
col risultato di diventargli, alla fine, per l’appunto, famigliare.
Natalia annota, apparentemente con un certo distacco, le
liti tra fratelli, i primi amori della sorella Paola, le leziosaggini
della madre Lidia.
Una casa molto frequentata, quella dei Levi. Ci vive
Natalina, la fedele cameriera; spesso le fa compagnia la sarta, chiamata
dalla padrona di casa per rivoltare un cappotto o confezionare abiti a
domicilio.
Numerosi gli amici di famiglia, quelli dei figli, i
colleghi del professor Levi (docente di anatomia comparata): l’elenco
delle amicizie è davvero ampio e sorprendente. Nel salotto di casa si
raduna il fior fiore del mondo intellettuale torinese: Vittorio Foa, Adriano e Camillo Olivetti, Filippo Turati, Cesare Pavese,
Felice Balbo, solo per citarne alcuni. Si intuisce, d’altra parte, che
le frequentazioni includono anche altre persone: Anna Kuliscioff, Franco
Rasetti, Felice Casorati e persino Eugenio Montale, che, in veste di compagno della zia Drusilla (colei che “rompeva sempre gli occhiali”, e che noi conosciamo anche col nomignolo che le aveva dato Montale: "Mosca") ne era quasi parente.
Come tanti altri scrittori, anche la Ginzburg è debitrice di Proust; nel 1937 tradusse, prima fra tutti in Italia, Du côté de chez Swann. Del resto, il Lessico
lo testimonia, Natalia conobbe fin da ragazzina il capolavoro di
Proust, essendo, questo, oggetto di vivaci discussioni in seno alla
famiglia. Effettivamente vi sono, fra la Recherche e il libro
della Ginzgurg, dei punti di contatto. Alla narrazione delle vicende
famigliari fa da sfondo la Storia: l’ascesa di Mussolini, le leggi
razziali, la lotta antifascista. Nel suo libro, la Ginzburg affronta con
un certo pudore la prigionia del padre, la fuga oltre confine dei
fratelli, la reclusione e l’uccisione del primo marito, riuscendo a
conservare la semplicità e la freschezza che contraddistinguono i suoi
scritti.
Come definire Lessico famigliare? Un libro di memorie, un’autobiografia?
Da sempre si considera l’autobiografia l’ambito preferito
dalla letteratura femminile. Nel caso di Natalia, i ricordi
dell’infanzia si concentrano esclusivamente nella sfera famigliare,
poiché non frequentò le scuole elementari e per i primi anni ebbe come
maestra la madre. Il Lessico, però, non può considerarsi una semplice autobiografia, come scrive la stessa Ginzburg nell’Avvertenza.
È soprattutto un insieme di ricordi, che il trascorrere
del tempo può avere reso imprecisi, labili. Con la sua opera l’autrice
ha inteso lanciare un chiaro messaggio, di fronte al disperdersi della
propria famiglia d’origine a causa della guerra, delle morti, della
lontananza.
«Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse,
alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci
incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti o
distratti, ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase:
una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte nella
nostra infanzia. Ci basta dire: "Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna" o "De cosa spussa l'acido solfidrico",
per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra
infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle
parole. Una di quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l'uno con
l'altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone.
Quelle frasi sono il nostro latino, […] testimonianza di un nucleo
vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi,
salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle
frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà
finché saremo al mondo, ricreandosi e resuscitando nei punti piú diversi
della terra, quando uno di noi dirà — egregio signor Lippman — e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: "Finitela con questa storia! L’ho sentita già tante di quelle volte!"»
Ecco il messaggio, inequivocabile, contenuto nel Lessico famigliare:
i nostri genitori, i nostri fratelli, gli amici di allora sono i soli
testimoni di quello che siamo stati, e che ora non siamo più.
E forse è proprio questo il segreto del libro, vincitore del Premio Strega,
che ottenne da subito un grande successo editoriale grazie, oltre alle
numerose recensioni positive, anche e soprattutto al passaparola degli
stessi lettori.
La Redazione
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